La Piave mormorò

Mi sarebbe piaciuto intervistarlo. A modo suo, per generazioni è stato una leggenda del paese. É indubbio che il suo aspetto provocasse repulsione, ma non è per questo che la gente lo nominava senza rispetto, anche se non aveva mai fatto del male a nessuno. Piccolo, infagottato, con un profilo che sembrava una caricatura, me lo ricordo vagamente quando, già decrepito, si manteneva lavando le scale di qualche condominio. Puzzava di stracci bagnati e portava nel cesto legato alla vecchia bicicletta due chihuahua petulanti che sbucavano da un sacco: «I miei tesorini», cantilenava lui.
Le leggende servono a raccontare com’è il mondo nel bene e nel male, e per generazioni a Correggio “la Piave” ha impersonato l’immoralità, uno scandalo che a quei tempi appariva estremo perché riguardava il sesso e soprattutto, questo è il punto, il sesso definito “non normale”.
Comunque la Piave se n’è andato da molti anni e io non potrò di sicuro intervistarlo. Troppo improbabile. Però quarantanni fa, sul giornale di paese che tuttora si chiama “Primo Piano”, Catia Morgotti e Celestino Pantaleoni pubblicarono un servizio sulla Piave, una conversazione esclusiva che si dice avesse sollevato polemiche. Così ho interpellato la redattrice di allora, pensando di realizzare con la Piave un’intervista per interposta persona. E anche il titolo è preso da quell’articolo.

D Chi era “la Piave”?

R – Non so l’origine di quel soprannome. Emilio Barbieri era il penultimo di quindici figli, di una famiglia molto pia, avviato fin da bambino a umili lavori, analfabeta. All’epoca aveva settantaquattro anni e viveva in un’unica stanza disordinata e puzzolente. Ci disse che non era per questione di soldi, ma perché gli piaceva così. «Mi piace andare come va la mia natura, tenere i miei denti (gliene rimanevano due); i soldi li avrei per l’apparecchio, ma voglio rimanere come sono, così come ha fatto la mia mamma. Mangio del buon cibo, basta che non ci sia da masticare troppo. Le briciole le do ai passeri sul davanzale»

D – Non sempre a uno può far piacere passare per proverbio. Ma ad Emilio importava?

R – Gli chiedemmo: «Lo sa, vero, che la gente l’ha sempre considerata un po’ male». E lui: «Io non ci faccio mica una malattia, perché in coscienza… la guerda, a go di zuvnot quand a pas in piasa dal volti i disen “Adio nimela”. Ma me an g’no mia a mel. In mezzo a loro poi c’è qualcuno a cui io ho fatto…»

E ancora: «Eh sì, ho conosciuto molti giovani, dai trenta in giù diciamo. Erano loro a chiedermelo, mica ero io a corrergli dietro o domandare dei soldi. Perché io non ho mai fatto male a nessuno, e non mi ritengo un viziante come certi ricconi del paese»

D – Non lo faceva per denaro quindi, ma, parafrasando De Andrè, per vocazione

R – Un po’ di soldini, non so come, li aveva fatti, diceva “cento milioni”, senza spendere nulla per sé: li aveva sempre regalati agli altri, soprattutto ai parenti. Gli chiesi se i suoi clienti gli piacevano proprio tutti, perché mi sembrava strano. E lui: «Beh, proprio tutti no. Ma in genere erano giovani e io non facevo distinzione tra ricchi e poveri. Non l’ho mai fatto per denaro! Figuratevi che a militare mi sono fatto delle camerate intere: grave, eh, la cosa! Comunque erano sempre loro a cercarmi, anche se io non mi sono mai tirato indietro. C’è stata una volta che mi hanno chiamato a una cena con venti persone, molti erano dei signori… ogni tanto cadeva una forchetta… o uno diventava pallido… e ch’ièter i given “A ghè la Piave, an, le sòta!”»

D – Insomma, come dice lui, andava come andava la sua natura?

R – Sì, è questo che lo rendeva… diciamo così, innocente. Emilio sostanzialmente era un generoso. Gli chiedemmo se esercitava ancora. «Ancòra a no mia mes via i jusvei. Ma molto meno di una volta. Grave, eh, la cosa!» Alla domanda “Lei è soddisfatto della vita che ha vissuto?” rispose: «Sì, ho avuto delle soddisfazioni al mondo, sono stato circondato da molta gioventù, ho ancora da scegliere, delle persone anche nuove. An sdà gnan, a stàntequatràn!» Ci informammo se c’è stato qualcuno che gli era piaciuto in modo speciale. La Piave mormorò: «Eh, l’è steda na pasioun. Poi lui si è sposato e io son rimasto triste»

D – Dimmi, c’è voluto coraggio a fare, e ancor più a pubblicare, un’intervista del genere?

R – La redazione del mensile era composta da giovani, e nei primi anni ottanta volevamo affrontare i problemi che ci sembravano più stridenti, quelli di un piccolo paese incline ai pregiudizi e alla maldicenza, di una società che ci appariva in gran parte chiusa ai cambiamenti, di un conformismo che soprattutto le ragazze vivevano sulla loro pelle attraverso le reazioni velenose dei benpensanti. Così non abbiamo avuto dubbi ad intervistare la Piave: perché lui no? Il sesso andava censurato, salvo poi riempirne i pettegolezzi?

D – E la storia delle lettere di minaccia e di un certa agenda?

R – In realtà Emilio era molto riservato sulle sue frequentazioni, non fece mai nomi e non parlò di elenchi, era la gente che si divertiva ad alimentare le dicerie. Lui era una persona semplice e a suo modo onesta, che per tutta la sua vita è stato “usato” da altri. Alla pubblicazione ci furono reazioni indignate, questo sì, di diversi “compagni” e abbonati. Pubblicammo anche una lettera anonima che ci accusava di essere dei pessimi comunisti ad occuparci di vicende così squallide

I tempi in questo mi sembra siano cambiati: oggi per la grande maggioranza dei cittadini i “diversi” sono semplicemente delle persone, e il sesso non è più oggetto di censura. Mi viene l’idea di andare a trovare il “compagno abbonato” di allora per capire se ha modificato il suo giudizio. É anonimo, ma è facile trovarlo sulle pagine di facebook.

D – É lei il “compagno abbonato” della lettera di protesta a Primo Piano?

R – Come no. Altri tempi, altre sensibilità

D –  Oggi non la farebbe?

R – Beh, innanzitutto oggi voto da un’altra parte e non sono abbonato al giornale

D – Io dicevo il contenuto, la sua indignazione

R – Alla mia età ne ho viste tante, ormai la prendo con filosofia. Mio figlio ha divorziato e si è messo con una badante; mio nipote è andato all’Erasmus, ha fatto coppia con un barista e non è più tornato in Italia; mia moglie spende un sacco di soldi dal parrucchiere… insomma, ognuno va secondo la sua natura. Grave, eh, la cosa!

Vignetta di Francesco Ferrari. Nato nel 1997 a Correggio, vive a Mandrio. Ha frequentato il Liceo Corso sezione linguistica, (disegnando un sacco anche durante le lezioni, per sua stessa ammissione). Nonostante le lingue lo appassionino ancora, ha frequentato la sezione di Illustrazione della Scuola Internazionale di Comics, diplomandosi nel 2020. Ciò che unisce questi due interessi apparentemente distanti è la sua passione per le storie, in particolare folkloristiche (anche straniere), e la voglia di rappresentarle.

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