La Phaedra di Seneca e la magia di avere duemila anni e non sentirli

Bello, bello, bello!

Questo mio triplice giudizio positivo si riferisce allo spettacolo teatrale Fedra, messo in scena dal Teatro Stabile di Torino nelle giornate di martedì 7 e mercoledì 8 marzo, con la regia di Andrea De Rosa
e interpreti dello spessore di Laura Marinoni e Luca Lazzareschi.
Il bello l’ho ripetuto tre volte non a caso, ma a ragion veduta, perché ogni aggettivo lo attribuisco a tre differenti aspetti di ciò che ho visto.

Il primo bello va al testo di Seneca. Non esiste una datazione precisa di questa tragedia, ma considerando che l’intellettuale tutore di Nerone nacque il 4 a.c. e morì il 65 d.c., la sua Phaedra ha sulle spalle due secoli di vita, anno più anno meno; due secoli portati davvero bene, mi verrebbe da dire!
Fior di filosofi nel corso dei millenni si sono espressi ed interrogati sull’immortalità delle opere scritte e di coloro che le hanno prodotte, per cui non mi metterò certo io a speculare su questa questione, però concedetemi di dire che assistere alla rappresentazione di una vicenda pensata e scritta 2000 anni fa e trovarla ancora estremamente coinvolgente, ha qualcosa di strabiliante e di commovente.
Infatti, la Fedra moglie di Teseo, perdutamente innamorata del figliastro Ippolito, vittima di un amore tragico voluto dagli dei che sarà causa di morte per lei e lo stesso Ippolito, è la protagonista di un passato mitico il quale, di per sé, non rimanda immediatamente al presente.
È proprio questo a colpire: che una trasposizione per lo più fedele di un testo antico possa risultare attraente proprio grazie alla capacità del testo stesso di appassionare e farsi tramite di sentimenti sempre attuali.

Il secondo bello va al lavoro fatto dal regista, all’interpretazione della compagnia teatrale
e alla scenografia, in quanto credo che questo
spettacolo sia un congegno di recitazione, gesti, suoni che si incastrano alla perfezione. Io, poi, ho trovato particolarmente convincente l’idea di porre un enorme cubo di vetro al centro del palco, all’interno del quale si sono alternati i protagonisti durante lo svolgersi della vicenda. Quella scatola apparentemente inesistente, che invece presentava dei confini netti e ben definiti, ha avuto infatti la capacità di trasmettere anche visivamente l’idea della lotta impari che gli esseri umani si ritrovano a combattere ogni giorno con chi tira i fili della loro esistenza, siano questi gli dei di Seneca o i nostri, i tiranni passati o quelli presenti.

Infine, il terzo e ultimo bello va alla presenza nei palchi di giovani alunni delle scuole correggesi. Nemmeno in questo caso voglio scomodare sociologi, psicologi e antropologi per parlare degli studi su bambini e adolescenti e il modo in cui impiegano il loro tempo libero, tantomeno è mia intenzione discutere sulla “qualità” di questo tempo libero; voglio però utilizzare un detto popolare,
il seguente: l’appetito vien mangiando. Leggendo la biografia di autori o attori è facile constatare come
la passione per il loro futuro lavoro fosse accesa da un testo o da un’interpretazione particolarmente toccante.
Per questo motivo, trovo importante il fatto che scuole, famiglie e istituzioni facilitino e incoraggino l’accesso dei giovani al teatro: perché credo che la fame di cultura possa venire solo nutrendosi di cultura!

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