La pasta che mangi volentieri

Il Pastificio Barbieri protagonista dell’italian food

Via Primo Maggio numero 1: siamo qui, dove si sviluppò all’inizio degli anni Sessanta, per volontà del Sindaco Zanichelli, il Villaggio artigiano di Correggio. Dal portone di questo lungo edificio industriale che vi sorge, la pasta Barbieri prende le vie del mondo. La pasta Barbieri si mangia volentieri: quale correggese non ricorda quel felice slogan pubblicitario! Deve essere proprio così, oggi come ieri, se quelle confezioni di pasta hanno successo e fanno tanta strada. In 43 nazioni si mangiano i vari formati, ottenuti dalla semola di grano duro, della pasta Barbieri: tagliatelle, quadretti, maltagliati, vermicelli, fusilli, spaghetti, mezze maniche, farfalle… e la famosa gramigna che può essere monocolore, bicolore o tricolore. In questo scorcio di 2017 sta partendo l’avventura negli Stati Uniti, poi sarà la volta della Cina. Il Pastificio Barbieri s.r.l. fattura quasi 9 milioni di euro, l’80% dovuto all’esportazione. «Per questo non abbiamo risentito della crisi tra 2008 e 2016» ci dice Paolo Barbieri, che dell’impresa è il general manager, o meglio il “praticamente tutto”. Con la moglie Lorena e la madre, la signora Franca, bella e piacevole novantenne dalla memoria di ferro, che presidia ancora l’amministrazione essendone anche la legale rappresentante, guida un’azienda di 10 dipendenti, di cui 3 a tempo parziale.

La storia imprenditoriale dei Barbieri è simile a quella di altre storiche imprese correggesi. Tutto comincia da due fratelli, Augusto ed Erasmo: il primo con cinque figli; il secondo, senza, si inventa commerciante di granaglie. Negli anni venti lasciano il fondo paterno di via Gavellotta e impiantano a Porta Reggio un mulino a cilindri, un oleificio e una raffineria (si ottenevano le famose focacce di graspa che scaldavano mezzo paese).  Il maggiore dei cinque figli, Alfredo, continua l’attività di zio Erasmo; a Fernando va il mulino e a Vincenzo l’oleificio. Nel 1938 la famiglia acquista il vecchio “mulino Correggio” ad acqua, sul canale che attraversava l’attuale via della Repubblica, ed entrano in scena gli ultimi fratelli, Guido e Umberto. E a Porta Reggio nasce il pastificio, affidato poi a Guido, con l’attiguo negozio per la vendita al dettaglio.

Il passaggio alla seconda generazione concentra l’attività del pastificio nelle mani di Ettore, figlio di Umberto, partito come semplice venditore sotto la guida di zio Guido, mentre gli altri rami familiari escono progressivamente dalle attività imprenditoriali. Questa diaspora del patrimonio familiare non impedisce al pastificio di crescere in tecnologie e di compiere, nel 1966, l’investimento nell’attuale sede di via Primo Maggio.

Paolo Barbieri, terza generazione, figlio di Ettore (scomparso a novant’anni nel 2012), il nostro manager tuttofare, è anche il progettista del layout e il responsabile operativo della produzione: «Dal 2000 in poi lo stabilimento è stato rivoluzionato con l’introduzione di due linee (una per la pasta corta e l’altra per le tagliatelle) robotizzate, con un massiccio contenuto di informatica per consentire la flessibilità necessaria ai lotti “multietnici” di produzione, ognuno con caratteristiche e normative diverse da paese a paese. Il Pastificio Barbieri vende ogni giorno 700 q.li di pasta; ma ne produce direttamente 150, soprattutto formati speciali e prodotti a marchio. Il resto viene acquistato dai 5 pastifici che Barbieri ha scelto nel tempo come partner, ognuno per il suo prodotto tipico. Così presidiamo il mercato con un profilo di assoluta qualità. Del resto siamo, dopo Barilla, uno dei tre produttori di pasta secca rimasti in Emilia-Romagna e l’unico in provincia di Reggio». Una bella bandiera della nostra food valley che porta il nome di Correggio in giro per il mondo.

Paolo, perito chimico, diploma in tecnologie alimentari, bazzica dentro la fabbrica da quando aveva quattordici anni. Fin dal 1977 è stato il responsabile commerciale dell’azienda. «Ma facevo un po’ di tutto. L’invenzione della gramigna paglia e fieno, che poi tanti altri ci copiarono, deriva da una mia disattenzione nel gestire la coclea che doveva distribuire in una linea quella verde con gli spinaci e in un’altra quella gialla con solo la semola: ero stato distratto da un’amica che mi era venuta a trovare in stabilimento. Mortificato per il tragico errore, mi riscattai agli occhi dello zio, perché, anziché dividerla come mi aveva imposto, riuscii a vendere questo stock di prodotto miscelato e bicolore con tanta convinzione che poi tutti i negozi di Correggio e della provincia volevano il paglia e fieno». Dunque è il caso di dire: gramigna sbagliata, gramigna fortunata! Mentre ci racconta le performance ed i segreti aziendali, Paolo ci mostra ogni dettaglio delle linee produttive. Smanetta valvole, accende luci, preme bottoni, mentre ci snocciola dati, evidenzia particolari vitali, con l’orgoglio di chi li ha concepiti. Non lesina giudizi su chi vorrebbe che tutta la pasta secca made in Italy fosse ricavata dal solo grano duro italiano, che coprirebbe solo una parte modesta del fabbisogno, bollandone l’ipocrisia. Le mani in pasta ce le ha davvero, il nostro Paolo. La sua vita è tutta qui in azienda, dove c’è anche la sua abitazione: «bisogna esserci sempre, per ogni emergenza, con le linee che marciano ininterrottamente 24 ore su 24» dice, allargando le braccia. Da molto tempo la strategia commerciale della Barbieri non si limita al territorio domestico. «Il Pastificio ha costruito una rete di una ottantina di importatori che sono anche distributori nel proprio paese, in genere con un proprio marchio nazionale. Così il grossista diventa “impresa” insieme al Pastificio Barbieri: una vera partnership. Oppure vendiamo col marchio Barbieri (così in Italia, così negli USA), e non accettiamo di produrre per conto terzi, per i marchi della grande distribuzione, dove si azzerano identità e margini». Il logo che ha sostituito il vecchio (quello col monumento dell’Allegri) è costituito dalla silhouette della cascina di via Gavellotta da cui tutto iniziò. Dalla campagna di Correggio, una campagna di promozione indovinata: non c’è che dire. Perché quel marchio suggerisce autenticità in tutte le lingue del mondo.

Condividi:

Leggi anche

Newsletter

Scroll to Top