La palla al commissario Bertolini

Milena Bertolini è il nuovo commissario tecnico della Nazionale femminile di calcio

Tanta acqua è scorsa sotto i ponti da quando lo zio Olimpio la accompagnò alla allora Polisportiva Correggio per provare a dare i primi calci nella formazione femminile allestita da questa società, tra le prime in Italia. Con piacere scambiamo due chiacchiere con Milena Bertolini, il nuovo Commissario tecnico della nazionale femminile di calcio, passata lo scorso agosto dalla panchina del Brescia a quella delle azzurre del pallone.

Mister è stata una sorpresa il conferimento dell’incarico, oppure ci speravi?
«Dopo il fallimento all’europeo, nell’ottica di un profondo rinnovamento il vice presidente federale, e responsabile del club Italia, Renzo Ulivieri ha pensato a me, fatto di cui sono grata, per iniziare un nuovo ciclo della nazionale. Io avevo già allenato e vinto con società di club, perciò mi sentivo pronta e ho accettato con entusiasmo».

Tempo fa un rappresentante della Lega Nazionale Dilettanti, toccando il punto più basso della sua “misoginia” aveva avuto parole diciamo non troppo “corrette” nei confronti delle tesserate del calcio femminile. La tua nomina a C.T. può significare un cambio radicale di approccio e considerazione al movimento del calcio femminile?
«Il punto più basso toccato con quelle affermazioni ha avuto un risvolto positivo perché ha segnato una svolta nella politica della federazione verso il calcio femminile introducendo nuove norme come l’obbligo per le società professionistiche (vedi Juventus, Fiorentina, Sassuolo, Empoli ecc.) di avere un settore giovanile anche femminile. Ciò ha creato un ovvio stimolo per avviare le giovani alla pratica calcistica e un rilievo mediatico che prima non si aveva. In Italia il movimento calcistico femminile è arretrato rispetto ad altre nazioni, come del resto la cultura italiana è ancora piena di stereotipi sessisti. Non lo sa nessuno, ma il calcio è lo sport di squadra che le donne praticano di più nel mondo, più di pallavolo o pallacanestro».

Allora ci saranno elementi di discontinuità rispetto al passato come metodologia di selezione e preparazione, vista la possibilità di collaborare e confrontarsi con staff tecnici molto qualificati come quelli di società professionistiche.
«Il confronto porta sempre con sé una crescita. Se il livello si alza, si hanno benefici in tutto il settore, quindi di riflesso anche la nazionale: più giocatrici, più concorrenza, più voglia di migliorarsi, più tasso tecnico. Quindi anche il nostro movimento ha più possibilità di avvicinarsi ai vertici del calcio femminile europeo e mondiale».

milena-2Cosa è cambiato nel movimento del calcio femminile e dello sport in generale dal tempo in cui curasti il libro Giocare con le tette, dove si descrive con precisione come viene percepito lo sport femminile dagli italiani?
«Il libro faceva e fa parte di un progetto educativo della provincia di Reggio Emilia e fotografa il pensiero primordiale, pregiudiziale della società italiana nei confronti dello sport coniugato al femminile e del calcio in particolare. Da questa arretratezza deriva tutta una sfilza di luoghi comuni che possono alimentare atteggiamenti anche di bullismo. Aiuterebbe la maturazione della società italiana sicuramente una presenza femminile nello sport recepita come un fattore che può “ingentilire” l’attività fisica, il gesto atletico, lo scontro fisico. Il che riporterebbe la disciplina sportiva ad una fruizione “familiare” di cui il calcio ha anche bisogno economicamente, invece di servire per uno sfogo settimanale tra maschi. Secondo me dovrebbe essere reso obbligatorio nelle scuole, da subito e fino ad una certa età, come in altri paesi, il giocare assieme di maschi e femmine attraverso la consuetudine di squadre miste, contribuendo così alla reciproca comprensione, per non parlare del reciproco rispetto».

Il gioco fa presa sulle giovani cosiddette millennials, oppure viene ancora considerato uno sport da “maschiacci”?
«Non è assolutamente vero. Dicevo che il calcio viene praticato in massa dalle ragazze degli USA, del Brasile e di tutta l’America centromeridionale, della Francia e della Germania, dei paesi nordici, del Giappone, ora anche della Cina. Bisogna assolutamente sfatare questo tabù, che sia uno sport per maschiacci. Anzi, il calcio svolto al femminile contribuisce a dare un’immagine positiva di uno sport reso volgare da anni di pratica e di tifo coniugati solo al maschile».
Il percorso di Milena e delle sue atlete è appena iniziato. La nazionale italiana di calcio femminile sarà chiamata a breve ad impegni importanti per la qualificazione ai mondiali di Francia 2019, dai quali manchiamo da ben 20 anni. Il 24 ottobre Milena giocherà la sua terza partita da c.t. a Castel di Sangro contro la Romania, già sconfitta a domicilio; poi a fine novembre l’Italia femminile scenderà in campo contro il Portogallo… e, chissà, magari potremo fare il tifo al Mapei Stadium di Reggio Emilia.

Milena Bertolini, identikit del nuovo C.T. della nazionale
Nasce a Correggio, anzi a Lemizzone. Pratica atletica alla SELF (tutte le specialità dei lanci). Nel 1984 comincia a giocare nella ACF Reggiana Calcio Femminile, in serie B, e dopo 3 anni è in serie A; gioca nelle squadre femminili di Modena Euromobil e di Prato; è di nuovo con la Reggiana, poi col Sassari, col Bologna, con l’Agliana, con il Fiammamonza; infine nel Modena, nel Pisa e termina nel 2001 la carriera di calciatrice nel Foroni-Verona, dopo aver vinto 3 campionati italiani, 1 coppa Italia, 1 supercoppa ed aver collezionato 4 presenze in nazionale, tra cui un indimenticabile esordio nel mitico stadio di Wembley contro l’inghilterra battuta 4 a 0. Intanto Milena si è diplomata in educazione fisica, poi come preparatore atletico e si è laureata in Scienze Motorie. Così diventa allenatore e guida il Verona, la Reggiana e il Brescia. Trova anche il tempo di dare il suo contributo amministrativo come assessore in comune a Correggio e poi come consigliere provinciale.

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