Per legge non sono più considerate fauna selvatica. Hanno colonizzato molto tratti delle rive dei nostri canali, ormai gravemente compromessi nella tenuta e nella stabilità dalla presenza delle loro tane. Stiamo parlando della nutria, il grosso roditore alloctono che nella nostra provincia vanta oltre 100 mila esemplari che ogni giorno arrecano danni per oltre 1 milione di euro fra produzioni agricole e territorio. I prodotti agricoli saccheggiati per procurarsi nutrimento (una nutria mangia da 2,5 a 3 chili di prodotti vegetali al giorno) possono essere mais, cereali, barbabietole e colture orticole. Le coltivazioni prese di mira dalle nutrie molto spesso sono localizzate nelle aree più vicine ai corsi d’acqua, rispetto ai quali questi esemplari non si allontanano più di 8- 10 metri. Tali danni alle produzioni valgono circa 100 mila euro l’anno e ad essi devono essere sommati quelli cosiddetti ‘sopportati’, vale a dire subiti ma non segnalati perché percentualmente irrilevanti rispetto alla produzione complessiva dell’azienda, che sono più o meno altrettanti. Per questo vengono talvolta adottati sistemi di dissuasione con elettrificazioni a bassa tensione, che però incrementano gli oneri a carico dei produttori e finiscono per costituire un danno indiretto.
Il danno più consistente però è quello ambientale arrecato agli argini dei canali ed alla rete idraulica e di bonifica del territorio, causato dalla crivellazione degli argini per la creazione delle loro tane. Queste, generalmente realizzate a pelo d’acqua, favoriscono smottamenti che sono sempre più frequenti e richiedono controlli ed onerose manutenzioni. Il fatto preoccupante è che una nutria si riproduce due o tre volte l’anno ed ogni volta è in grado di partorire 6- 8 piccoli che già dopo 5 mesi sono a loro volta in grado di riprodursi. Ogni femmina ha una vita media di 4 o 5 anni e sul territorio non esistono antagonisti naturali che possano creare un maggiore equilibrio nella popolazione di questa specie.
Anche i cambiamenti climatici non giocano a favore, visto che solo inverni molto rigidi, con temperature sotto lo zero centigrado prolungate per diversi giorni, potrebbero incrementare la mortalità naturale. Anzi, il nostro clima caldo umido e la buona disponibilità alimentare ha sicuramente favorito la proliferazione del mammifero che in Italia è stato importato dal Sud America nel 1929 a scopo di allevamento commerciale per la produzione di pellicce. Si azzardano addirittura teorie sulla liberazione delle nutrie dagli allevamenti a seguito della crisi del settore delle pellicce degli anni ’80. Fatto sta che questi animali, una volta raggiunto l’ambiente esterno, hanno dato rapidamente corso ad una naturalizzazione della specie sul territorio, che per la presenza massiccia oggi impone, per legge, l’attuazione di complessi piani di eradicazione e di contenimento di difficile attuazione e dubbia efficacia. Con gli abbattimenti autorizzati che vengono compiuti in terra reggiana ogni anno vengono mediamente eliminati 13-14.000 esemplari (il 13-14%). E questo avviene in modo più o meno regolare dal 2010.
Il suo nome scientifico è Myocastor coypus. Non è un grosso topo, come spesso impropriamente viene definito, somiglia ad una lontra ma viene comunemente chiamato anche castorino. Questo soprattutto quarant’anni fa, quando era un nobile animale da pelliccia e nelle campagne la sua presenza era ancora sconosciuta. Oggi invece sappiamo tutti cosa è una nutria. L’adulto è lungo anche 60 cm e pesa fino a 12 chili. Non è aggressivo, anzi, si spaventa molto facilmente, tanto che fugge non appena ci fermiamo ad osservarlo. È un nuotatore abilissimo con le zampe posteriori mentre quelle anteriori vengono utilizzate per la perforazione delle tane. La sua presenza spesso ci disgusta o ci spaventa: più di sera che in pieno sole, più quando lo incontriamo solitario piuttosto che in branco e più quando ha la pelliccia bagnata rispetto a quando è perfettamente asciutta.