La nuova alleanza per la meglio gioventù

L’incontro con lo psichiatra Pietropolli Charmet

Venerdì 20 marzo, presso Cine+ e poi in replica alla scuola San Francesco, si è tenuto il secondo incontro del ciclo “Verso una nuova alleanza educativa: quali basi per una reciproca fiducia tra insegnanti e genitori?”, corso di formazione per docenti aperto anche ai genitori, promosso dal Comune di Correggio in collaborazione con gli altri comuni del distretto.

Relatore, Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra, psicanalista, già docente presso l’Università Statale e Bicocca di Milano, ora presidente del Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia in Crisi (Caf), oltre che direttore scientifico del Festival della Mente di Sarzana.

La tesi sostenuta da Pietropolli Charmet è che esista un “prima”, in cui il patto fra scuola e famiglia si reggeva sulla condivisione di un unico modello educativo, basato sul rispetto delle regole e sul timore della punizione.
E un “dopo”, l’oggi, in cui la famiglia produce “semilavorati educativi”, ragazzi molto competenti sul piano relazionale, non su quello sociale.
Il bambino, quindi, non è più visto come bambino “selvaggio”, da educare alla cultura.
Nasce già “buono”, competente. Il compito della scuola, secondo tale modello, è solo sapere qual è il suo talento per fare in modo che possa esprimerlo al meglio.

Il nuovo bambino è un “narciso” che pensa di avere sempre ragione ed è la scuola a doversi mettere al servizio della sua identità, creatività, espressività… Il bambino, in famiglia, non viene educato al rispetto delle regole, ma alla relazione, attraverso una costante negoziazione del ruolo bambino-genitore.

Da qui, secondo il professore, nasce il conflitto scuola-famiglia.
In che modo, allora, possiamo lavorare affinché questo strappo si ricucia?

La risposta, secondo Pietropolli Charmet, va cercata in una nuova “alleanza educativa” fra scuola e famiglia, della quale vanno fissati in modo chiaro e condiviso gli obiettivi, nel rispetto dei reciproci, specifici, ruoli.

E a questo proposito richiama alcuni esempi.

Un tempo la psicoterapia cercava un’alleanza con l’adolescente a rischio, espellendo i genitori dall’analisi in corso.

Oggi si persegue la strada inversa: la famiglia entra nella psicoterapia, attraverso precisi percorsi, “cerimoniali”. E il primo a essere “grato” di questo coinvolgimento è il ragazzo, che vede finalmente gli adulti uniti e cooperanti per lui.

Si stabilisce, cioè, una vera “alleanza terapeutica”, che interviene sul contesto, per sostenerlo e formarlo.

E a scuola?

In alcune scuole del Trentino è stata istituita la figura del “tutor di classe”, con il compito di mantenere i rapporti con le famiglie.
I gruppi classe vengono formati dopo un’attenta osservazione, in contesto, degli alunni e la raccolta di informazioni presso le famiglie.
In ogni scuola viene creata una “zona gialla”, in cui vengono inviati, per un periodo limitato, i ragazzi a rischio, sotto la supervisione di un educatore.
Prima del rientro in classe, si organizza un incontro che coinvolge docenti, genitori, alunni, educatori e docente tutor, per un confronto sul percorso intrapreso: tempi, risultati e obiettivi.

Non esiste una ricetta esportabile ovunque, aggiunge il professore.
Le forme di tale alleanza, infatti, vanno ricercate caso per caso e adattate al contesto, tenendo conto delle risorse disponibili.
Servono, però, “dispositivi” ad hoc, che permettano ai genitori di sentirsi parte integrante del processo educativo scolastico, specialmente nelle situazioni più gravi.
Occorre che si arrivi a «costruire un progetto comune, condiviso, tagliato apposta sul ragazzo, in funzione del suo futuro, del suo benessere, ora e domani».

Forse, conclude Pietropolli Charmet, in tal modo la scuola riuscirà anche a riguadagnare un po’ del credito perduto e il diritto a richiedere, se non carta bianca, una seppur minima “delega in bianco” su alcuni aspetti del percorso di formazione dei nostri ragazzi.
E si aiuteranno i ragazzi a investire sul proprio futuro, inducendoli a calarsi, finalmente e serenamente, nei panni, che oggi paiono tanto stretti, di “studente”.

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