La musica viaggia su nuove strade

Veronica Romani tra jazz e pop nella Londra della Brexit

Tra i nostri concittadini che vivono a Londra, e che lì sono riusciti a portare avanti progetti a lungo termine, c’è Veronica Romani, classe 1989, ormai giunta al decimo anno sul suolo inglese.

Ci conosciamo dalle medie ma, quando è partita per l’Inghilterra dopo la Maturità, io non immaginavo che ci sarebbe rimasta. E invece, dieci anni dopo è ancora lì e non sembra proprio voler tornare indietro!

Veronica, spiegaci come sei finita a lavorare a Londra! Quali sono stati le varie esperienze di questi anni?
«Sono sempre stata attirata dall’idea di lavorare nell’industria musicale: in quinta superiore ho visto che i corsi più adatti erano a Londra e così, dopo un primo anno passato a Bath come ragazza alla pari, ho conseguito una laurea in Music and Arts Management, proseguita poi con un master sempre in ambito musicale. Ho iniziato a lavorare subito dopo gli studi per l’etichetta di musica classica contemporanea Nonclassical, fondata dal nipote del grande Sergej Prokofiev.
Sono poi stata assunta dalla Warner Music Group, inizialmente nella sezione musica classica e jazz. Ora mi occupo di pop e jazz».

In cosa consiste il tuo lavoro?
«Mi occupo della parte di promozione e di ufficio stampa dell’album una volta terminato il processo creativo: organizziamo tour e interviste e collaboriamo con vari uffici internazionali per promuovere gli artisti. Tra i gruppi che sono noti anche in Italia ho seguito The Black Keys e Fleet Foxes!».

Quando sei partita erano gli anni dei lettori mp3, si comprava ancora qualche CD, Youtube e i social erano ancora agli albori. Oggi invece si può ascoltare musica ovunque e gratuitamente. Come è cambiato il circuito di distribuzione?
«Oggi l’interrogativo è come monetizzare da piattaforme gratuite, ma devo dire che questa dinamica si è un po’ stabilizzata.
È vero che oggi la musica si fruisce maggiormente a livello digitale, ma in diversi paesi si sta riscoprendo il vinile, che permette di conservare anche il lato fisico del prodotto. In Germania si vendono ancora CD, quindi la situazione è piuttosto variegata.
Tuttavia sta cambiando il concetto di album: mentre prima i grandi artisti cercavano di sviluppare storie, affrontando diversi temi e significati, ora si ragiona più “traccia per traccia”. Le campagne promozionali di conseguenza non sono più solo sull’album, ma anche sulla singola canzone che viene pubblicizzata inserendola nelle playlist più seguite di Spotify».

Come hai vissuto la Brexit, da cittadina europea che lavora in Inghilterra? Hai paura di ripercussioni a livello personale?
«In realtà, il referendum vero e proprio l’ho seguito da Correggio perché ero a casa in vacanza. Ho visto il risultato e sono andata tristemente a dormire. Devo dire che non temo per il mio lavoro, ma anzi ho più paura per i cittadini inglesi che viaggiano o lavorano in Europa: le cose si complicheranno più per loro che per me.
Penso che in un mondo così globalizzato non abbiano senso slanci di isolazionismo; uscire dall’Europa è fare un grosso passo indietro.
Ho vissuto dal vivo una campagna elettorale basata sulla paura dell’immigrazione, sull’idea del riprendere il controllo del Regno Unito, facendo leva sulla nostalgia dei tempi dell’impero britannico. È vero che l’Europa presenta tante criticità, ma rimane ancora importantissima per la pace e le relazioni internazionali. In prima persona ho goduto dei privilegi di far parte dell’Europa, quando mi sono trasferita qui per studiare e lavorare».

Sotto quali aspetti vivere in una città come Londra ti influenza su queste problematiche?
«A Londra convivono persone e culture diversissime, questo aiuta a comprendere l’importanza del multiculturalismo. La campagna e le periferie fanno sicuramente più fatica. Non dimentichiamo poi che anche noi italiani ci siamo spostati, esportando nel mondo tutte le nostre qualità, nonché il crimine organizzato!».

A proposito di Italia, c’è qualcosa in particolare che ti manca di casa?
«Sicuramente la famiglia e gli amici, ma devo dire che sono riuscita a costruire tanti bei legami anche qui. Mi mancano le giornate di sole, qui il tempo è un po’ deprimente. E ovviamente il cibo, ma ho imparato a cucinare italiano (in particolare emiliano), grazie ai consigli e alle ricette della mamma!».

Insomma, God save the caplét!

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