La lunga vita del Bellelli, antica start up d’arti e mestieri

Questa cartolina G. Scaltriti, spedita nel 1906, evidenzia l’elegante frontale porticato del Palazzo Bellelli, con alte colonne ad arco ed il balcone su cui spicca una persona con l’occhio all’obiettivo. Sul fondo si intravede il basso muro che aveva sostituito l’antica Porta di Modena e la cerchia muraria, abbattute nel 1879. La storia di questo Palazzo merita di essere raccontata. 

Era il 23 febbraio 1827 quando, in una camera in affitto prospiciente il portico del Palazzo, allora di proprietà Vernizzi, nasceva Antonio Bellelli. Figlio di proprietari terrieri, Antonio fu educato dapprima nel Seminario vescovile di Reggio Emilia, poi da validi maestri come il correggese Monsignor Pietro Rota. Appassionato ed esperto agricoltore, si dedicò alla produzione e vendita dei vini, aumentando in breve il suo capitale. In seguito abitò la casa Gabardi Filippi in piazza San Quirino e poi acquistò la casa dell’avvocato Salomone Iesi, odierna canonica, dove morì. Dedito anche alla vita politica del suo paese, fu un abile amministratore conquistando la stima dei concittadini. Nel 1853 fu nominato Capitano della Milizia di riserva per la Villa di Rio Saliceto dal Governo estense. Furono il suo zelo e il suo apostolato nell’Azione cattolica e nell’Opera di san Raffaele, fondata nel 1838 dal suo maestro e prevosto di Correggio Pietro Rota, a guidarlo per tutta la vita. L’Opera di san Raffaele aveva lo scopo di fornire alla gioventù locale, specialmente operaia ed indigente, istruzione e strumenti per apprendere un mestiere. Si addestravano i giovani al lavoro, i manufatti dei cosiddetti Raffaellini venivano esposti e si premiavano i migliori apprendisti. La prima sede di quest’Opera fu nel Palazzo dei Principi, poi nel Palazzo Foglia, allora Guzzoni, infine nella chiesa del Carmine fino al 1901. Bellelli educava i giovani al risparmio: in seno all’Opera aveva istituito una specie di Cassa di Risparmio. Nel 1866 accompagnò a Torino Mons. Rota, condannato al domicilio coatto a causa delle sue idee antiunitarie: qui ebbe modo di visitare l’Istituto don Bosco, che gli diede l’idea di fondare anche a Correggio un collegio per gli orfani. Nel 1881 avviò le pratiche per l’impianto di un Istituto di Arti e Mestieri, ma la difficoltà maggiore era reperire un sito adeguato. Solo nel 1896 decise di affittare la casa Vernizzi, dov’era nato, ma morì poco dopo. Il suo progetto fu continuato dalla sorella Giuseppina, unica superstite della famiglia, che acquistò per tal fine il Palazzo Vernizzi. Alla sua morte, Giuseppina lasciò tutti i beni di famiglia alla Fondazione dell’Istituto di Arti e Mestieri, designandone come amministratori il Vescovo della Diocesi, il Prevosto locale ed un rappresentante del Municipio. Il 13 giugno 1897 l’Istituto Bellelli cominciò la sua opera sotto la direzione dei Padri Giuseppini del Murialdo, coordinati da Padre Antonio Mosele, ma nel 1910 essi furono costretti ad andarsene poiché l’Istituto si era trasformato in Ente morale. Tanti giovani e fanciulli correggesi frequentavano l’Oratorio domenicale, creato sullo stile di quello di don Bosco: molti ricordavano le belle ore passate nel cortile giocando e nella Cappella a pregare. Altri sacerdoti fecero di tutto per conservare e sviluppare l’Istituto, ma le incombenti difficoltà economiche e belliche costrinsero l’amministrazione a chiuderlo, affidando temporaneamente gli orfani al Pio Istituto Artigianelli di Reggio, pagandone la retta mensile. Nel frattempo si cercava di ovviare alle difficoltà, decidendo di vendere il casino e le possessioni in san Lodovico dei Bellelli per convertirne il prezzo ricavato in Cartelle di Rendita Pubblica. Fu così possibile aumentare il capitale ed accantonare, con diligenti risparmi, le somme per riparare ai pesanti danni subiti dall’Istituto durante la guerra, essendo stato occupato dalle truppe, dai profughi e, in seguito, dalle famiglie bisognose. Prima s’incominciò con un doposcuola ed un campo estivo in un podere; poi, con la rinata Unione san Raffaele, la Tipografia del Povero e altre istituzioni cattoliche, si riaprì l’Istituto, assegnando la direzione ad un sacerdote diocesano inviato dal Vescovo. Il Prevosto di Correggio Tesauri ed il Podestà visitarono gli ambienti per predisporre la sistemazione dei locali a pianterreno e la riparazione dei danneggiamenti: si stabilì di aprire alcuni locali dove avviare gli alunni ai mestieri artigianali. Fu oggetto di un lungo esame la scelta del personale interno e dei Capi d’arte. Come Direttore ed assistente degli alunni fu eletto Armando Morani. Si aprirono otto botteghe per falegname, ramiere, carrozzaio, sellaio, lattoniere, meccanico, calzolaio e fabbro. Mancava il sarto, ma era già pronta la stanza. Gli alunni orfani precedentemente affidati all’Istituto Artigianelli tornarono a Correggio; l’Istituto ideato da Bellelli riaprì le porte della sua antica sede. Si provvidero gli allievi di una nuova uniforme, di nuove scarpe e di altri abiti. Quelli in età scolare furono iscritti alla scuola pubblica, mentre i cinque operai entrarono nelle botteghe già aperte. All’inizio gli alunni orfani erano diciassette, più due a pagamento: le richieste s’infittivano sebbene non si riuscisse ad accoglierle tutti. L’Orfanatrofio maschile Bellelli ebbe vita fino alla metà del Novecento: nel cortile funzionavano ancora le rinomate botteghe artigiane dove i ragazzi svolgevano un proficuo periodo di apprendistato. Dal 2002, in seguito alla fusione delle due Opere pie correggesi fondate a sostegno dei giovani, si è data vita alla “Fondazione Bellelli Contarelli”, che gestisce gli Istituti Scolastici San Tomaso e prosegue un’opera educativa di lunga tradizione.

 

Dalle catacombe di Roma il corpo di una Santa

Sotto l’altare della Cappella dell’Istituto Bellelli era conservata l’urna in legno e cristallo contenente il Corpo di Santa Clementina vergine e martire, lavoro in ceroplastica e riccamente vestita, tolta dalle catacombe e spedita da Roma a Correggio da tale fra’ Quirino da Correggio nel 1793. A metà Novecento all’incirca, l’urna fu traslata sotto la mensa dell’altare della Cappella di san Luigi Gonzaga nella Basilica di san Quirino, dove tuttora giace.

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