Aderisco volentieri alla sollecitazione di Primo Piano per rivolgere dal mondo della scuola un pensiero alla figura di Giuseppe Mazzini, visto che proprio quest’anno si è celebrato il 150° anniversario della sua morte. A questo protagonista fondamentale della vicenda risorgimentale, decisivo per l’unificazione italiana, Correggio, come si sa, ha intitolato il suo corso principale. Se nella geografia della nostra città il nome e l’onore del patriota genovese assumono una quotidiana centralità, nella storia che si studia nella scuola superiore non si può dire altrettanto. L’orientamento sul Novecento nell’ultimo anno di liceo ha portato progressivamente a trattare solo alla fine del quarto anno di studi l’Ottocento. Un secolo molto denso e ancora molto vicino al nostro, difficile da comprimere per la ampiezza delle sue vicende europee e italiane: l’affermazione della borghesia, la rivoluzione industriale, il nazionalismo, le origini dell’imperialismo, i diritti dei lavoratori, la primavera dei popoli. Questa necessità di dirigersi con decisione verso il Novecento costringe a sintetizzare il corso del secolo precedente, dal processo di unificazione del Paese ai primi decenni del Regno d’Italia. La storia evenemenziale (quella che si concentra sulla successione e descrizione degli eventi) del Risorgimento lascia così campo ad un incontro con la figura di Mazzini nel contesto della riflessione sulle varie proposte per dare corso all’unità italiana. Non quindi una storia di figure, di eroi, di camei, ma piuttosto la ricostruzione problematizzata di un dibattito acceso e complesso in cui alle posizioni di Mazzini si accostano quelle di Gioberti, Cattaneo, Balbo, Cavour. Così dal confronto emergono istanze democratiche, neoguelfe, neoghibelline; se ne leggono estratti significativi e sintetici, quando le ore di scuola lo consentono. E si cercano di proiettare queste voci e correnti di pensiero nella contemporaneità.
Tra quanto raccolto tra gli studenti di 4B-Linguistico nel nostro Liceo a proposito della figura di Mazzini, riporto volentieri il testo di due riflessioni: una di Carlotta Benatti e una di Giorgia Grasselli. La prima verte sul significato di fallimento o vittoria in termini e tempi storici. La seconda si sofferma sull’importanza dell’educazione ai valori civici per la crescita della nazione.
«Giuseppe Mazzini: un rivoluzionario, forse un idealista, ma soprattutto un uomo del suo tempo» scrive Carlotta, che continua così: «questa credo sia, aldilà di ogni circostanza storica e speculazione critica, la sua descrizione più adatta. Magari un visionario, un insofferente, un astruso, ma resta un uomo che deriva i suoi valori da un’Europa in mutamento e sulla cui base delinea i sentimenti fondanti la nostra Italia, portandoli per primo all’orecchio della gente. Padre e figlio del sogno di una nazione libera e unita, uomo che credette nelle sue idee al punto da sacrificare sé ed altri per esse, al punto da fallire e ritentare più volte. Forse proprio per questo si tende a sminuirlo. Mazzini, pazzo, radicale, ma troppo astratto, dogmatico, rispetto ad eroi irruenti e carismatici come Garibaldi, che affascina il cuore delle masse, che lotta con brutale concretezza per i suoi obiettivi, che sfida il potere e lo ribalta, che guida gli eserciti, che conquista, ma, soprattutto, che vince. Mazzini no: lui fallisce ogni progetto, ogni insurrezione. O così pare». Ma si chiede Carlotta: «è davvero uno sconfitto chi riesce a radicare le sue idee nell’anima di un popolo? Perché questo è ciò che Mazzini ha fatto. Una vittoria indiretta, probabilmente non quella a cui agognava; un risultato che ha richiesto del tempo, che non ha dato subito i suoi frutti. Eppure, se quel 17 marzo 1861 l’Italia è diventata una, è perché milioni di persone hanno combattuto per quegli ideali che furono in primis di Mazzini. Gli ideali su cui lui ha richiamato l’attenzione e per cui lui ha voluto che gli italiani insorgessero».
“I mezzi dei quali la Giovine Italia deve servirsi per raggiungere lo scopo sono l’educazione e l’insurrezione. L’educazione, cogli scritti, coll’esempio, colla parola, deve conchiudersi sempre alla necessità e alla predicazione dell’insurrezione”: «è quanto dice Mazzini nel manifesto della Giovine Italia» scrive Giorgia. Che poi continua così: «Per Mazzini la libertà, i diritti, l’emancipazione da condizioni sociali ingiuste dipendono dall’educazione, indirizzata alle facoltà morali. L’educazione dell’ottocento era però, secondo lui, monopolio di un governo dispotico, di un sacerdozio, a causa dei dogmi, avverso al progresso. Tale atteggiamento è visibile anche nella società odierna che desidera dai giovani cooperazione e sacrificio per la vita politica quando la scuola non offre un orientamento per formare la nostra conoscenza civica. L’istruzione resta separata dall’educazione morale e così mantiene la disuguaglianza fra l’autorità e il popolo lasciando il potere in mano a un dispotismo paterno. Le nuove generazioni vengono persuase da pregiudizi, sfiducia ed impotenza dovuti ad una formazione anacronistica. Mazzini lotta contro la disinformazione politica ed esige un sistema di educazione nazionale gratuita, obbligatoria per tutti. Propone che nella scuola venga inserito un quadro dei progressi dell’umanità, la storia della nazione e l’esposizione dei principi che reggono la legislazione del paese. Le necessità odierne e quelle ottocentesche per l’interesse civico non sono poi così differenti: l’intervento nel campo scolastico in entrambi i casi risulta indispensabile per il bene delle istituzioni politiche. L’istruzione assicura all’individuo la libera scelta dei mezzi per ottenere il bene della società e per il progresso civico collettivo. Benché plasmate sulle esigenze del popolo, le idee di Mazzini non riuscirono però a convincere largamente l’opinione pubblica. Solo colui che riuscì a creare l’unità territoriale dell’Italia potè mettere in pratica le idee mazziniane attraverso un sentimento militare e nazionale. E così un altro Giuseppe, il generale Garibaldi, viene celebrato ancora oggi come l’eroe romantico per eccellenza».
Ilaria Vellani è docente di storia
e filosofia al Liceo Rinaldo Corso