La grana del grano

L’approssimarsi del periodo della trebbiatura di orzo e grano è l’occasione per tornare a parlare di farine, un argomento importante e delicato sia in funzione delle produzioni locali che delle nuove tendenze di coltivazione. Per quanto ci riguarda direttamente, la forte specializzazione colturale e la modesta dimensione delle nostre aziende hanno determinato, nel corso degli anni, una forte riduzione della superficie coltivata a cereali. A Correggio oggi si coltivano 650 ettari di grano, rispetto per esempio a 1.900 ettari di vigneto. Cinquant’anni fa la superficie coltivata a grano era esattamente il triplo, anche se nel corso dei decenni la resa produttiva riferita all’unità di superficie è decisamente aumentata. L’incremento delle rese produttive ha caratterizzato tutto il comparto cerealicolo nazionale, ma in ogni caso non permette comunque al nostro paese di essere autosufficiente da questo punto di vista.

L’Italia si trova quindi costretta ad importare il 60% del fabbisogno di grano tenero ed il 40% di grano duro. Costretta, perché queste quantità nel nostro paese non vengono prodotte ed invertire questa tendenza significherebbe perseguire l’impossibile obiettivo di raddoppiare o la superficie coltivata o le rese produttive. Un’utopia, soprattutto se si considera che fra le nuove tendenze produttive c’è la riscoperta della varietà antiche. Si tratta di un fenomeno di nicchia, con forte riduzione delle rese e maggiore soggettività ai fenomeni atmosferici, che rendono ancora meno costante la disponibilità di prodotto.

L’Associazione Industriali Mugnai d’Italia ha recentemente puntualizzato che è molto importante distinguere fra importazione di cereali ed importazione di farine. Effettivamente non si tratta della stessa cosa perché i cereali integri sono più facilmente controllabili, sia dal punto di vista qualitativo che di salubrità. L’Italia importa quasi esclusivamente cereali integri, che vengono lavorati dai mugnai italiani. Le importazioni di farina sono praticamente nulle, anche se, purtroppo, stando ai dati emersi da una recente indagine Doxa, il 65% degli italiani crede, sbagliando, che l’Italia importi una quantità rilevante di farina. Il prodotto importato rispetta pienamente la normativa comunitaria, che è tra le più severe al mondo per quanto riguarda la presenza di contaminanti, ed è sottoposto a sistematici e rigorosi controlli, sia da parte degli organi pubblici di vigilanza che delle stesse aziende molitorie nell’ambito dei sistemi obbligatori di autocontrollo. Da sempre i molini italiani hanno selezionato e sapientemente miscelato e trasformato in farine le varietà più preziose di frumento tenero, quale che sia la loro origine e in funzione delle loro caratteristiche. Questa capacità dei Mugnai italiani è l’ingrediente principale per continuare a garantire l’eccellenza delle farine nazionali, frutto di una tradizione secolare, riconosciuta in tutto il mondo e patrimonio del nostro comparto agroalimentare. D’altro canto per un paese come il nostro, che produce 3 milioni di tonnellate di grano rispetto ad un fabbisogno di circa 5,5, non esiste alternativa alle importazioni. Importazioni che, come testimoniato dalle analisi effettuate dal Crea per conto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, sono di qualità e non presentano criticità dal punto di vista sanitario.

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