La crittografia? Niente paura, ci protegge

Mattia Veroni ne studia numeri e misteri in Norvegia

Mattia Veroni nasce a Correggio nel 1990 e vive a San Martino in Rio fino al 2016, anno in cui consegue la Laurea Triennale in Matematica a Modena. Si trasferisce poi a Trento per la Laurea Magistrale in Matematica, indirizzo di Crittografia e Codici. Da lì la passione per i numeri e la crittografia lo porta in Norvegia dove attualmente vive. Sta per discutere la tesi di dottorato ed iniziare il post-doc.

Ciao Mattia. In parole semplici, cos’è la crittografia?

«Cercherò di semplificare. La crittografia parte dall’individuazione di difficili problemi matematici su cui basare algoritmi (una serie di istruzioni) in grado di garantire riservatezza, autenticazione e qualche forma di immutabilità. Ogni tipo di dato informatico richiede qualche forma di protezione, sia che si parli di database in un ospedale, di dati per l’home banking, di messaggi in chat o del contenuto del proprio cellulare. Con l’avanzamento tecnologico trasferiamo servizi e attività quotidiane dal mondo analogico a quello digitale, e le richieste di protezione e sicurezza aumentano di intensità e numero, acquistando nuovi significati sulla base dei nuovi bisogni».

Di cosa ti occupi nel quotidiano?

«Il bello del mondo accademico è che raramente un giorno è uguale all’altro! Lavoro dal lunedì al venerdì, dalle otto alle diciotto circa. Purtroppo, non è raro lavorare nei weekend e tenere il computer sotto mano alla sera, ma non ne faccio un dramma. Qui all’università norvegese della scienza e della tecnologia (NTNU) per un intero anno sono stato assistente alla docenza, che prevede: preparazione di qualche lezione occasionale, correzione di saggi, progettazione di laboratori, monitorare progetti di tesi triennale e magistrale. In maniera del tutto straordinaria, questo semestre mi è stata data l’opportunità di tenere un corso intero a livello magistrale come docente. Tutto il resto del tempo viene dedicato alla produzione scientifica».

Cos’è per te un numero? Quando hai capito che per te rappresenta qualcosa di più di un semplice segno?

«La matematica ha da sempre esercitato su di me un grande fascino, pari solo alla musica. Arte con la quale, tra l’altro, condivide gli aspetti più sorprendenti e fondamentali. Ricordo ancora che in quarta elementare terminai ad ottobre l’eserciziario per l’intero anno scolastico, con sonori rimproveri per non aver rispettato i giusti tempi! I numeri sono sempre stati compagni di gioco, fonti di sfide. Arrivare con la logica e i calcoli a concordare sulla soluzione dei problemi che venivano posti era una grandissima gratificazione»

Ormai per tutto esiste una password, eppure ci sentiamo così fragili di fronte al mondo del web. Pensi che debba essere uno strumento di massa o un qualcosa dedicato a pochi esperti?

«Sono assolutamente convinto che per nessun motivo dovremmo proibire l’accesso a internet. Non a caso prima con la radio, poi con la televisione e infine con internet l’umanità ha vissuto sotto tanti punti di vista un miglioramento esponenziale di benessere in un brevissimo lasso di tempo. Internet è un incredibile veicolo di bellezza, promotore di progresso e creatore di legami, ma anche luogo di perdizione. Penso sia ciò che più si avvicina ad una coscienza umana collettiva: tutto il bene e tutto il male che vi troviamo l’abbiamo messo lì noi stessi, un po’ per natura e un po’ per educazione».

Hai iniziato il tuo percorso universitario a Modena, per poi trasferirti per la magistrale a Trento e infine in Norvegia per il dottorato. Cosa porti a casa a livello professionale da tutti questi luoghi?

«Ogni tappa del percorso mi ha permesso di sviluppare competenze diverse. La triennale a Modena mi ha dato un’infarinatura generale sulla matematica. L’attenzione data all’analisi e ai metodi di calcolo è sicuramente frutto della realtà emiliana, dato che queste sono le skills (capacità) matematiche più ricercate nell’ambito professionale locale. A Trento mi sono specializzato sull’algebra e la geometria, con un occhio di riguardo agli aspetti più applicativi in ambito crittografico. In Norvegia ho toccato con mano cosa significhi fare ricerca all’avanguardia in crittografia post-quantistica (che ci proteggerà dai famigerati computer quantistici) e ho potuto mettermi alla prova come docente».

Le maggiori differenze che noti tra l’università italiana e quella estera?

«Anzitutto tengo a sottolineare che l’università italiana gode di grande prestigio all’estero. Ciò detto, le differenze con la Norvegia e gli altri Paesi europei sono tante, principalmente tre. In primis l’approccio alla didattica: se in Italia la formazione sembra molto improntata sul fornire nozioni, all’estero ci si concentra più sull’acquisizione di competenze e strumenti. In secondo luogo, in Norvegia l’università ha molti più fondi a disposizione, il che permette di vivere esperienze diverse e lavorare su progetti in modi che l’università italiana non può permettersi. Infine, trovo che gli studenti italiani siano generalmente più dinamici, dediti. Probabilmente il diverso benessere economico influenza sostanzialmente anche questo aspetto, dato che qui quasi ogni studente ha un lavoro assicurato un anno prima della laurea».

L’Italia fu il quarto paese europeo a connettersi, nel 1991, dopo Norvegia, Regno Unito e Germania. Hai scelto la Norvegia perché è considerata una patria dell’informatica?

«In tutta sincerità, sono finito in Norvegia per un mix di fortuna e capacità di cogliere l’occasione nel momento giusto. Mentre mi trovavo a Parigi per lavorare alla tesi magistrale vidi l’offerta per questo lavoro: si parlava di ricerca e insegnamento nell’ambito di crittografia post-quantistica. Fattori essenziali per la scelta furono il fascino naturale del posto, la reputazione dell’università, l’argomento di ricerca davvero avanzato e l’offerta lavorativa competitiva».

Hai un motto o una figura di ispirazione per la tua carriera?

«Una frase a cui penso spesso è quella che viene erroneamente attribuita a Winston Churchill “Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta”. Nel mio percorso ho avuto la mia buona dose di intoppi e gratificazioni, a partire dai primi anni di studi in Medicina e Chirurgia a Modena. Alla fine sono convinto che l’unica vera sconfitta sia il non imparare dalle esperienze vissute, positive o negative che siano, per capire noi stessi, chi vogliamo essere e cosa vogliamo fare».

Il tuo percorso scientifico inizia a Correggio al Liceo Rinaldo Corso. Il più bel ricordo che hai del borgo?

«Più che un ricordo specifico, è uno stato d’animo ciò che mi lega a Correggio. Mi porto nel cuore lo gnocco di Benassi, i salumi di Veroni, i giri in centro con gli amici, la biblioteca e i suoi tanti eventi. Questi anni lontano da casa (e una pandemia di mezzo) mi hanno fatto maturare la consapevolezza che una vita da esule avrebbe probabilmente un sapore agrodolce. Non credo che rimanderò il mio rientro ancora a lungo».

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