La cina, terra di opportunità

Il correggese elia cerrato ricercatore a pechino

Semina pensieri e raccoglierai azioni, semina azioni e raccoglierai abitudini, semina abitudini e raccoglierai un destino.
Proverbio cinese

La Cina sta attirando sempre più persone, anche dall’Occidente. Al giorno d’oggi lavorarci  può rappresentare una preziosa occasione per crescere a livello professionale, linguistico e interculturale. Perché non chiederlo direttamente a chi sta vivendo un’esperienza di studio a Pechino? Elia Cerrato ha 26 anni ed è nato e cresciuto a Correggio.

Ha conseguito la Laurea triennale in “Lingue, Mercati e Culture dell’Asia con lingua cinese” presso l’Università di Bologna, corso di studio che gli ha fornito strumenti e fondamenti necessari per proseguire studi superiori in ambito economico. L’interesse per la Cina lo ha spinto a investirvi la formazione personale e professionale.

Dopo aver conseguito la laurea magistrale nel 2018, Elia ha deciso di proseguire la sua carriera universitaria come Ricercatore. Attualmente è al terzo anno di un Dottorato di Ricerca in Economia e Commercio Internazionale presso la “University of International Business and Economics di Pechino”. Lo incontro tramite Skype, pur risiedendo a Correggio dove ha fatto ritorno alla fine di gennaio.

 

Elia, come sono nate passione e interesse verso la Cina?
«Fin dalle scuole elementari provavo curiosità per ciò che proveniva da diverse aree del mondo, come le culture e la geografia dei luoghi. Dopo aver studiato per anni le lingue europee ho maturato la curiosità verso i caratteri del cinese, e nel finale dei miei studi liceali ho orientato la scelta universitaria verso questo indirizzo. Nell’agosto 2014, a vent’anni, con tanta determinazione e un po’ di paura, sono partito per Dalian, nella Cina del nord, nell’ambito di un progetto di studio di mobilità studentesca. La gratificante esperienza mi ha ulteriormente appassionato e spinto a non allontanarmi più dal paese della Grande Muraglia».

 

Quali elementi della cultura cinese ti sono rimasti impressi?
«I suoi contrasti, e sono molti. Pechino, coi suoi venti milioni di abitanti, corre velocissima tra innovazione e cambiamenti, ma allo stesso tempo mantiene tradizioni e valori molto radicati: puoi ancora vedere angoli dove il tempo si è fermato. Lungo i vicoli dei quartieri antichi (gli hútong) capita di incontrare gruppi di anziani che praticano taijiquan (arti marziali), giocano a scacchi o vendono frutta e verdura sulla strada come in un normale paesino di provincia. Possiedono una tranquillità senza tempo, in contrasto coi ritmi dei giovani manager nelle zone più moderne. Penso che per gli europei l’impatto più ostico sia interagire con le persone, non per la lingua ma per il diverso approccio comunicativo con l’altro. Poi la cucina, talmente diversa dalla nostra che solo la fame ti porta ad adattarti. Un altro piccolo aspetto che ritengo davvero unico è l’uso dell’acqua calda come “medicina di primo soccorso”: qualsiasi malanno ti affligga, dal mal di testa ai dolori muscolari, i cinesi ti raccomandano, come primo antidoto, di bere acqua calda. Devo dire che a me fa sempre ridere».

 

Quali problemi hai incontrato nello studio della lingua cinese?
«Imparare il cinese richiede molto impegno. L’alfabeto è assente ed è necessario avere molta curiosità e una buona memoria fotografica per apprendere migliaia di caratteri, oltreché impararne la corretta pronuncia. Il cinese ha anche diversi accenti, a seconda del significato che si vuol dare alle parole. Un altro problema è rappresentato dagli idiomi dialettali, ancora molto forti anche fra i più giovani, che differiscono molto dal parlato standard, il mandarino».

 

Come hai ottenuto il Dottorato di Ricerca?
«Nel 2018, dopo la laurea magistrale all’Università di Pechino, ho ottenuto una borsa di studio per merito che garantisce ogni anno a una decina di studenti italiani di svolgere un percorso accademico di Ricerca presso un’istituzione cinese scelta. Ho provato grande soddisfazione per avere meritato questa opportunità. La mia ricerca si delinea in ambito economico e studia “gli effetti dell’introduzione dell’euro e della competizione cinese sul mercato commerciale italiano ed europeo”. Per svilupparla, oltre che a documentarmi molto, ho svolto studi empirici ed econometrici usando programmi di analisi statistica e dati provenienti dalla Banca d’Italia, dall’Eurostat e dalla World Bank. Al momento sto lavorando per la pubblicazione di due articoli su una rivista scientifica».

Da emigrato all’estero, in un paese in via di sviluppo, la tua vita avrà incontrato grossi cambiamenti: come li hai affrontati?
«La Cina sta investendo nei ricercatori e studenti stranieri che desiderino compiere un percorso accademico in questo Paese o, semplicemente, studiarne la lingua. Avendovi vissuto a intervalli dal 2014, ho sempre avuto esperienze lavorative di breve o media durata che mi hanno fatto sentire molto valorizzato e visto come risorsa nello scambio culturale fra i due Paesi. In più mi hanno permesso di mantenermi agli studi e di inserirmi in una realtà lavorativa diversa da quella italiana. La Cina è, infatti, un paese con forte pressione sociale: nel mondo lavorativo lo stress è molto impegnativo, tuttavia per me è stato un notevole arricchimento potermi immergere in tematiche e modi di vivere differenti dai miei. Penso, comunque, di avere acquisito maggiore flessibilità, controllo di me stesso e capacità di rapportarmi con persone di mentalità differente. Capita, poi, che vivendo e verificando aspetti diversi dal tuo paese d’origine, tu riesca ad apprezzarlo maggiormente. In Italia il cittadino gode di molte tutele civili, sovvenzioni e libertà che in altri Paesi non sono ancora garantiti, e di ciò è bene rendersi conto».

Quando potrai tornare a Pechino per concludere il tuo percorso di studio?
«Al momento sto continuando il mio Dottorato di ricerca a distanza. Purtroppo molti piani sono saltati, ma sono fiducioso e dovrei riuscire a laurearmi l’anno prossimo. Ho contatti coi miei professori settimanalmente. Partecipo a seminari, conferenze e scrivo talvolta al mattino presto, talvolta a diversi orari della notte, visto le sette ore di differenza tra i due paesi. Sto attendendo che si riapra la possibilità di tornare a frequentare la University of International Business and Economics di Pechino. A causa della Pandemia da Covid-19, all’inizio d’anno la Cina aveva chiuso i suoi confini agli stranieri in entrata. Ho ancora il ricordo della situazione di gennaio: Pechino era deserta, non si poteva più uscire dal campus senza un permesso richiesto agli uffici, e si viveva un contesto paranormale. Per questo avevo maturato l’idea che fosse meglio tornare in Italia».

Cosa ti senti di dire in merito all’attuale Pandemia che proprio da questo paese è partita?
«Penso che la Cina abbia diversamente gestito l’emergenza perché già preparata, a causa di epidemie affrontate nel passato, ad esempio la SARS del 2002-2004. Mi sentirei di dire che il popolo cinese ha, di base, un forte senso di responsabilità che lo porta a ritenere i provvedimenti dello Stato favorevoli ai cittadini. Le proibizioni attuate sin da subito, lo scorso inverno, sono state drastiche, ma viste come una forma di tutela verso il popolo e un modo per mantenere stabilità interna al Paese. Le chiusure sono state temporanee ma rigide, e oggi i cittadini hanno ripreso a vivere più o meno normalmente. Oggigiorno, sebbene Pechino sia ormai covid-free, la popolazione continua ad avere un atteggiamento di grande  unità nazionale. Io penso che sia giusto chiedere diritti, ma anche partire da un senso di base di maggiore coscienziosità, da parte di ognuno, nei confronti di tutti».

Come riassumeresti, in due parole, la Cina?
«La Cina è un concetto troppo lontano per prenderne coscienza senza esserci davvero. Un contenitore di occasioni di cui è complicato apprezzare le peculiarità ed anche una realtà con cui i popoli occidentali dovranno sempre più confrontarsi nel futuro. Per definirla, mi aiuterei con una citazione: “La Cina è l’indispensabile “Altro” che l’Occidente deve incontrare per prendere davvero coscienza del profilo e dei limiti del suo Io culturale”.

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