Inverno alle porte, attenti all’inquinamento

Il periodo invernale verso il quale ci stiamo incamminando è quello a maggior rischio di inquinamento atmosferico, a causa della maggiore probabilità di stagnazione dell’aria. Essa è provocata dal fenomeno dell’inversione termica invernale che, in presenza di giornate più corte, irraggiamento solare più debole e temperature più basse non permette un sufficiente riscaldamento della terreno: così quest’ultimo non contribuirà a riscaldare l’aria circostante, restituendo calore, come normalmente si verifica in estate. In questo modo l’aria a contatto con il terreno si raffredda rapidamente e raggiunge temperature inferiori rispetto a quella sovrastante, generando una sorta di cappa che impedisce alle sostanze inquinanti di disperdersi, diluendosi, negli strati superiori dell’atmosfera. É lo stesso fenomeno che in presenza di umidità origina le nebbie serali per irraggiamento nel nostro territorio. La pianura padana, d’altro canto, si presta in modo particolare alla frequente formazione di fenomeni che favoriscono la concentrazione degli inquinanti ad altezza d’uomo (vale a dire a rischio di essere respirati). Concentrazioni che, in funzione delle condizioni climatiche che si andranno a verificare, potranno essere più o meno prolungate nel tempo. Da questo punto di vista, per esempio, una pioggia in inverno può essere molto preziosa per migliorare l’aria che respiriamo visto che, pur non eliminando l’inquinamento che una volta prodotto resta tale, ripulisce l’aria da inquinanti sottraendoli al rischio di essere respirati.

Sempre a proposito di aria che respiriamo, non dobbiamo dimenticare sono le nostre attività quotidiane e le nostre abitudini di vita a generare la presenza di inquinanti nell’ambiente in cui viviamo. Questo è stato ampiamente dimostrato da una ricerca di Legambiente, realizzata su dati ufficiali Arpa, che pone a confronto i dati storici delle emissioni in atmosfera nel territorio della pianura padana con quelli registrate nel periodo gennaio-marzo di quest’anno. Quest’ultimi sono risultati inferiori alla media statistica anche del 52%, per ricominciare gradualmente a salire man mano che la morsa delle restrizioni si andava allentando. E questo fino a ritornare ai livelli cosiddetti normali, da intendere come decisamente peggiori, a conferma del fatto che la diminuzione delle emissioni è da attribuire alla forte modificazione del nostro stile di vita. Il riferimento è in particolare alla riduzione del traffico: si può osservare che nello stesso periodo le emissioni di ammoniaca, delle quali l’agricoltura con i suoi allevamenti è la principale responsabile, non ha subito significative variazioni, proprio perché l’agricoltura nel periodo di restrizioni non si è fermata.

MASCHERINE ANTI-SMOG

Le mascherine sul volto delle persone, in questi giorni che ci stanno accompagnando verso l’inizio dell’inverno, ricordano un po’ le immagini delle grandi città nelle quali con questo strumento si tenta di proteggersi dallo smog. Si tenta, nel senso che la protezione dagli inquinanti dell’aria. principalmente biossido d’azoto, ozono e polveri sottili, richiederebbe una protezione ermetica di naso e bocca e non permettere all’aria inquinata, che dovrebbe potere essere tutta filtrata, di essere respirata dai lati della mascherina. In effetti queste micro-particelle leggere e sospese nell’aria hanno la proprietà di infilarsi ovunque, tanto che le mascherine di comune utilizzo in questi giorni di emergenza sono paradossalmente più efficaci a proteggere dal coronavirus rispetto allo smog: nel primo caso deve offrire soprattutto un contrasto fisico al contagio diretto, mentre nel secondo dovrebbe filtrare compiutamente l’aria. Fatto sta che l’inquinamento ambientale è in grado di compromettere gravemente la funzionalità del sistema respiratorio, rendendolo quindi più vulnerabile al coronavirus.

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