A inizio mese, quando ho iniziato a pensare all’articolo da scrivere, mi domandavo di quale dei due spettacoli che ho visto avrei deciso di parlare: di Copenaghen o di Intarsi? Ero certa che entrambi avrebbero meritato la mia attenzione, ma ero anche altrettanto certa che in una pagina ci fosse troppo poco spazio per commentare due esibizioni tanto differenti tra di loro.
Copenaghen è andato in scena nelle giornate di giovedì 8 e venerdì 9 marzo, con i bravissimi Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice nei panni dei protagonisti ed una superba scenografia, fatta di numeri bianchi scritti su un avvolgente sfondo nero.
La pièce racconta dell’incontro realmente avvenuto, tra il fisico danese premio nobel Neils Bohr ed il suo ex allievo tedesco Werner Heisenberg. Entrambi gli scienziati erano allora impegnati nella ricerca sulla fissione nucleare, ma il primo era contrario ad un impiego degli atomi a scopi non pacifici, mentre il collega stava cercando di applicare le recenti scoperte al servizio del Reich. Cosa si siano detti i due uomini non ci è dato saperlo, e lo spettacolo riporta in vita i fisici per cercare di colmare questo vuoto storico. Ciò che alla fine emerge è una certezza ineluttabile, pur se difficile da accettare: una verità rappresenta semplicemente un punto di vista, il punto di vista di chi l’ha enunciata.
Intarsi, in scena nelle giornate di sabato 3 e domenica 4 marzo, pone al centro della scena i corpi degli interpreti/acrobati i quali utilizzano e spostano le parti di una scenografia fatta di cubi, panche e pannelli di legno in un susseguirsi di prodezze acrobatiche. I quattro artisti infatti effettuano degli incastri umani tanto perfetti da lasciare lo spettatore a bocca aperta sia per la difficoltà sia per la ricercatezza dell’aspetto scenografico.
Vi chiederete cosa possano avere in comune questi due spettacoli. La mia risposta è: l’interdipendenza dell’essere umano.
Ciò che mi ha colpito di Copenaghen è il fatto che quei due uomini abbiano interagito tra di loro, non solo in quell’incontro, ma durante gli anni in cui sono stati maestro e allievo, studioso e studioso, entrambi impegnati nelle loro ricerche. Quell’interazione avrebbe potuto cambiare il corso della storia se, ad esempio, Bohr avesse condiviso con Heinseberg le sue più recenti scoperte consentendogli di arrivare per primo alla realizzazione della bomba atomica. È successo? Evidentemente no, ma avrebbe potuto succedere. Per spiegare il concetto utilizzando un’immagine rubata al circo contemporaneo potrei dire che Heinseberg era l’uomo in attesa di una spinta, in piedi su una banca posta in equilibrio precario, e Bohr l’uomo che doveva decidere se e come saltare: un suo balzo, ben mirato, avrebbe potuto far fare al compagno un triplo salto mortale; un suo balzo mal posto, avrebbe potuto farlo cadere; il non saltare lo avrebbe lasciato fermo al medesimo posto.
L’uomo è un essere sociale che necessita, sfrutta o subisce la spinta degli altri, grazie la quale o per la quale procede o retrocede e i quattro artisti di Intarsi hanno mostrato perfettamente questa legge di natura: si sono intrecciati ai compagni per creare nuove splendide figure; si sono lanciati e scontrati per dare ai propri corpi nuove traiettorie.
La cosa buffa è che il concetto di interdipendenza dell’essere umano dovrebbe esserci ben chiaro in un mondo globale e multiculturale. Invece, chissà perché, spesso, ci pensiamo “in isolamento”, ognuno sufficiente a sé stesso, e sono allora necessari degli spettacoli teatrali a ricordarci che non è mai stato così e mai lo sarà.