
Si è parlato di tecnologia informatica e potenzialità della rete, in occasione dei Bibliodays di inizio ottobre, insieme al professor Stefano Calabrese, docente presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
L’attenzione del professor Calabrese, strenuo sostenitore dell’utilizzo di internet nella vita quotidiana, si è focalizzata sul cambiamento delle modalità della comunicazione tra le persone.
Dalle origini ai nostri giorni.
La sua dissertazione, dal titolo Menti digitalizzate, come il web cambia il nostro modo di pensare, ha preso il via dalle pitture rupestri, a dimostrare che sin dalle origini dell’esistenza dell’uomo è stata l’immagine il maggior veicolo di informazioni e sapienza. Nei millenni e secoli successivi, l’utilizzo delle immagini come forma di comunicazione è stato messo via via in disparte a vantaggio della parola scritta. I testi del Medioevo e del Rinascimento sono esclusivamente composti da scritture. Tutto ciò è durato fino ai primi anni ’90 del secolo scorso, quando, con il progredire delle invenzioni scientifiche, in particolare in campo medico e diagnostico, sono state fatte le prime associazioni tra dati numerici e colori..
«Nel momento in cui nella comunità scientifica sono comparsi i colori -ha spiegato il professor Calabrese- anche in altri ambiti sono arrivate le novità. Basti pensare al campo della moda. Fino ad allora aveva dettato legge il bianco e nero di Chanel. Negli anni ’90 sono comparsi i colori fluo».
Tuttavia si devono attendere i primi anni 2000, con la cosiddetta “seconda generazione del web”, che in Italia ha fatto la sua comparsa tra il 2005 ed il 2008, per assistere ad un vero e proprio salto di qualità. Nonostante la riscoperta dei colori fosse parte stabile nella vita delle persone, infatti, nel web testi ed ipertesti la facevano ancora da padroni. Le immagini cominciano ad arricchire i contenuti scritti delle pagine internet, fino a prendere il sopravvento sulla parola. «Prende il via un mondo che ha unito questi due codici semantici, l’immagine e la parola -ha precisato Calabrese- un’attitudine, quella di mischiare i contenuti, tipica dell’uomo.
Più mescoliamo le cose, mischiando concetti e valori, più diventiamo intelligenti».
Le perplessità su quanto l’utilizzo del web possa contribuire ad aumentare l’intelligenza umana sono ancora parecchie. «Si dice che i nativi digitali siano dissociati dal mondo reale -ha continuato il professore- che siano scarsamente intelligenti, che siano divoratori di informazioni poco propensi all’attenzione. C’è anche una grossa parte della comunità scientifica che la pensa in maniera del tutto opposta. Credo si possa dire, quindi, che il dibattito su queste questioni sia ancora molto aperto. Che il web, del cui utilizzo sono un forte sostenitore, abbia delle grandi potenzialità lo dimostrano molti esempi: esistono, solo per citare un caso in cui la tecnologia migliora la vita delle persone, applicazioni che danno la possibilità di ottenere buoni risultati di attenzioni sulle persone affette da disturbi cognitivi o autismo».