Il terzo segreto di Vilde

Budrio: memorie e vita di un’arzilla centenaria

«Qual è la ricetta per arrivare così bene al traguardo dei cent’anni, cara signora Vilde?» le chiedo, sorpreso dal suo viso fresco, vispo. «Lavoro e bontà» dicono i suoi due figli Loretta e Roberto. «E un po’ di fortuna» aggiunge lei, sorridendo.

Qui a Budrio, per Villa Vilde, vedova Sabattini, il 23 marzo è cominciata con un sorriso la primavera numero cento. A festeggiarla, oltre a Loretta e Roberto, i nipoti Giulia, Matteo, Daniele e Simone. Affetto e premura per lei si respirano a pieni polmoni, qui in casa, dove la Vilde se la passa tra poltrona, tv e qualche giretto. Le gambe, ahimè, il solo punto debole. Al piano sotto vive con la famiglia, Roberto, giudice internazionale e allevatore di mille pappagallini, un gran concerto di colori e gorgheggi.

Claudia, la nuora, è come una seconda figlia di Vilde, per l’amore che le dedica. La Loretta si divide tra due cure, che riempiono le ore del giorno e della sera: quella per i fornelli del Salone delle Feste, di cui è capocuoca da un pezzo, e quella per la mamma, che le ha passato i segreti di sfoglie e stracotti ad alto gradimento.
Poi c’è Giulia, che raccoglie e annota i ricordi della nonna, voce narrante per una secolare incursione nel mondo di ieri.

La vita della Vilde è un romanzo. Lei me lo apre volentieri, con un po’ di aiuto domestico per rattoppare qualche temporaneo ammanco: «Per una polmonite mia mamma mi ha lasciato orfana che avevo tre anni, ero la più piccola di quattro fratelli, famiglia di mezzadri. A Massenzatico e in via Imbreto non c’era la luce, dopo a Budrio sì, che comodità! Lavoravo nei campi già da ragazzina, mietitura, vendemmia. Poi cucina e pollaio. Adoravo ballare. In pista, dietro la cooperativa, ero proprio brava.

Ricordo il filosso nelle stalle tra i vicini, la sera». Esita e sbotta: «Ero bella veh! Loretta fagli vedere la foto!». Arriva la guerra. La famiglia Villa è attivissima nella Resistenza. Nasconde, aiuta, combatte. La Vilde pure, nei panni di staffetta partigiana: «Usavo dei trucchi per non farmi scoprire dai fascisti e dalle spie, con la bicicletta: portavo volantini, messaggi. Mio fratello Renato fu ferito alla testa, l’altro, Dorando, riuscì a tornare a casa dalla Germania, magro, irriconoscibile, con una borsa piena di pidocchi.

Brutta cosa la guerra! Ricordo mio padre, Francesco, nascosto sotto il ponte per alcuni giorni, gli portavo la roba». A ventinove anni la Vilde sposa Sergio Sabattini, pollivendolo dal buon nome. Con le stie sul motorino, poi nel baule della Bianchina fumo di Londra, lui batte la campagna per comprare e vendere pennuti nostrani, pronti per finire in pignatta. Lei, la Vilde, a casa, tira il collo, sbollenta, spenna, eviscera, pulisce. Per quarant’anni, dico quaranta, mica un battito d’ali. Poi il resto: la passione per i fiori, per la cucina e, naturalmente, per figli e nipoti.

Arrivano artriti e dolori; sai le mani sempre in ammollo. Ma il medico, Udilio Bassoli, la tranquillizzava: non è niente, Vilde, camperai cent’anni! Prognosi azzeccata, dottore. Ride la Vilde. Ride di sé, delle sue avventure. Bella virtù sapersi prendere con un po’ di leggerezza e ironia. Questo forse, oltre a lavoro e bontà, è il terzo elemento della sua ricetta. Il terzo segreto di Vilde. Auguri bella signora!

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