Nonostante la mia passione per il teatro, devo ammettere che nel caso dello spettacolo Morte di un commesso viaggiatore, in scena all’Asioli il 14 e 15 aprile scorso, mi sono ritrovata fortemente tentata dal non andare.
Non era il testo a crearmi problemi: avevo letto che la trasposizione di Elio De Capitani era fedele dell’opera originale di Arthur Miller, dramma denso e ricco di spunti per riflettere, di quelli che amo molto. Era, invece, la durata a spaventarmi: 1 ora e venti il primo atto, 1 ora e quaranta il secondo, per un totale di 3 ore di spettacolo. Decisamente impegnativo per un giorno infrasettimanale!
Poi, ho avuto modo di scambiare due chiacchiere con la responsabile di produzione, la quale mi ha confessato di essere stata lei stessa la prima ad avere dubbi sulla durata e a temere un fuggi fuggi generale nell’intermezzo.
Ma mi ha assicurato che, fortunatamente, i suoi timori, non si erano ancora avverati e mi ha garantito che l’intensità delle scene mi avrebbe ripagato.
Ha avuto ragione.
Primo e secondo atto sono scivolati via, grazie alla bravura dei protagonisti principali e all’attualità dei temi trattati, nonostante questi siano stati scritti più di 60 anni fa.
Ma, d’altra parte, l’infrangersi del sogno americano e la conflittualità tra figli e genitori sono, purtroppo, degli evergreeen.
E, a proposito di evergreen, Elio De capitani e Andrea Germani, nei panni di Willy Loman e di suo figlio maggiore Biff, mi hanno ricordato il mito greco di un Kronos padre divorante, che ingurgita i figli per impedirgli di crescere, e del figlio Zeus, che gli si oppone nel tentativo di liberarsi e liberare i suoi fratelli da quel morso inglobante.
Questo mito di anni ne ha ben di più del testo di Arthur Miller, eppure rimane una metafora esplicativa sempre attuale del più comune dei rischi di un genitore: non riconoscere i propri figli come esseri nettamente distinti da chi li ha generati.
Purtroppo, il commesso viaggiatore Willy ha reso Biff e il figlio minore Happy schiavi del suo sogno di ricchezza, sogno che non solo si è infranto di fronte alla durezza della vita reale, ma ha impedito a ognuno di loro di vivere la propria vita.
Sul finale della storia, durante la scena del funerale di Willy Loman, non ho potuto che augurarmi che i suoi eredi, una volta padri, sapranno evitare di ripetere i medesimi sbagli di chi li ha messi al mondo.
E, in fondo, questo è un augurio che faccio a tutti, me stessa in primis.
Facciamo Gossip!
In questi anni, grazie all’alto livello degli spettacoli proposti dal teatro Asioli, sono passati da Correggio molti attori famosi e, data la posizione “privilegiata” del mio negozio, posto nel “cuore di Correggio”, ho avuto l’occasione di “fare affari” con alcuni di loro!
Nancy Brilli venne da me per comperare un fornellino a gas. Lei stessa mi disse che gli serviva per scaldare la pappa al suo bambino di pochi mesi.
«Con una madre attrice, chissà che scene farà quando vuole mangiare!» pensai.
Ugo Pagliai acquistò un torchio.
Non indagai oltre, ma pensai gli servisse non certo per spremere le meningi quanto, piuttosto, le ottime olive pistoiesi!
Ottavia Piccolo, invece, volle semplicemente sapere dove trovare un centro estetico; centro che io le ho indicato, ma lungi da me pensare che ne avesse realmente bisogno. Infatti, non vedevo in lei il più “piccolo” difetto!
Sono stati tanti, inoltre, gli scenografi che si sono trovati ad avere bisogno di un qualche oggetto di scena.
Recentemente, mi è stato richiesto un articolo che a Correggio è vendutissimo: un portauovo a stelo bianco. Serviva per il Leone Gala di Umberto Orsini, protagonista de “Il gioco delle parti”.
Per tutto lo spettacolo ho poi atteso la comparsa del mio bel portauovo, ma, ahimè, è stato all’ultimo sostituito da uno evidentemente più scenografico!
Inutile prendersela: i testi di Pirandello riservano sempre delle sorprese.