Il populista che è dentro di noi

di Guido Silvestri, umorista che ha a lungo abitato a Correggio, come “Silver” disegna dal 1973 le famose storie a fumetti di Lupo Alberto

Temo di sapere già come ci sentiremo quando ci sveglieremo (perché succederà) da questo incubo populista. Più o meno come quando ci si sveglia lentamente, dolenti e confusi, dopo una sbornia epica, e poco alla volta affiorano dolorosi i ricordi delle nefandezze a cui ci siamo lasciati andare: eravamo noi quelli che alla festa hanno palpeggiato l’anziana padrona di casa, intonato canti scurrili e in ne vomitato sul tappeto? Sì, eravamo proprio noi. E non ci saranno attenuanti, alibi plausibili, scuse sufficienti.

Ma come è stato possibile? Cosa ha trasformato granitici paladini dell’uguaglianza in scorbutici xenofobi intolleranti e spietati?  Come è potuto accadere che degli sgangherati arruffapopoli con un cerino in due siano riusciti a far divampare un rogo di queste dimensioni? Doveva esserci un bel po’ di paglia secca e con una gran voglia di bruciare.

Come gli avidi pionieri del vecchio West, che per fiaccare la resistenza dei nativi americani non esitarono a marinarli nell’acqua di fuoco come savoiardi nell’alchermes, così cinici capipartito drogano le statistiche per agitare la minaccia di un’invasione decisa a cannibalizzare la nostra etnia, la nostra civiltà, la nostra cultura.

Sono bastati pochi slogan zoppicanti ed evidentemente paraculi a infrangere la compattezza di una massa matura, evoluta e consapevole, avviata trionfalmente, così si supponeva, sulla strada del progresso sociale. Dei somari e qualche imbonitore, dispensando banalità e verità un tanto al chilo, hanno incantato le folle facendo piazza pulita di tutta un’epica, più sbandierata che praticata, di fedeltà ai valori della giustizia sociale e della convivenza civile.

Populismo. Una parola che pronunciata riempie la bocca e le guance. Di aria.

Il populismo è tentatore, ti esonera dall’esercizio obbligatorio del Pensiero, ti deresponsabilizza, è consolatorio, caldo e accogliente. Il tuo non sapere, il non voler sapere, ti conferisce quella purezza di spirito unica garanzia della nobiltà di intenti necessaria a rappresentare e guidare i cittadini.

Quanti danni ha fatto la premessa “io sono ignorante, ma penso che…”? Una dichiarazione di umiltà che in realtà nasconde protervia e arroganza. Se sei ignorante stai zitto, quindi informati, poi parli.
E quanti danni stanno facendo le false notizie che da anni ormai avvelenano l’informazione. Anche queste, propinate come facili risposte a problemi complessi, ci rassicurano per la loro apparente ovvietà, e perché confermano qualche nostro inconfessato pregiudizio.

Ma la fiamma del populismo attecchisce e divampa anche presso categorie sociali e aree geografiche che storicamente dovrebbero esserne refrattarie.
Sarà che c’è parecchia paglia secca che teniamo accantonata e di cui fatichiamo a liberarci, col rischio che una scintilla la faccia avvampare. Sono le nostre paure, i nostri pregiudizi, deplorevoli ma tenaci, le nostre insicurezze ataviche, il nostro bagaglio di diffidenze, luoghi comuni e opinioni preconfezionate che conserviamo pericolosamente ammucchiati nei nostri armadi senza il coraggio di fare pulizia.
È bello, oltre che necessario, fare spazio a delle idee nuove. Per uscire dal vicolo cieco del populismo.
La sbornia sta passando. Proviamo a riprenderci con dignità.

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