Il piccolo falò giacobino

Un viaggio nella storia del nostro borgo con cronaca di Pietro Vellani

Riduzione e adattamento di alcune note della Cronaca di Correggio (1794-1829) di Pietro Vellani, pubblicata in tre volumi dalla Società di Studi Storici nella collana “I Quaderni” n. 4 e curata da N. Benati, G. Fontanesi, V. Pratissoli. Continua dal numero precedente.

Un timido fuocherello arde in mezzo alla strada; il Cancelliere, frastornato, allunga le braccia per gettarvi il libro.
È il 16 ottobre 1796: mettiamo in pausa un attimo e lasciamo questa scena come in un fermo immagine.

Non ci si può meravigliare delle condizioni in cui si trova il Cancelliere perché, dopo vari mesi di attesa e di paura, è arrivata la bufera.
È la nota del 9 maggio che accenna per la prima volta alla presenza dell’esercito francese a Piacenza: il Reggente del Duca di Modena va a trattare un armistizio col Generale francese Bonaparte. Il Ducato di Modena è considerato nemico per via della vicinanza all’Imperatore d’Austria. In un primo momento l’armistizio viene negato, poi concesso dietro il pagamento di un milione di zecchini. Viene immediatamente emesso un editto e anche Correggio deve contribuire al pagamento del “riscatto” per avere la pace. Non basta: a Napoleone servono cavalli e buoi, alloggiamenti e viveri per i soldati, che devono assolutamente essere forniti.
Il 7 luglio Vellani annota: “Gran roba, gran artiglieria passa poco distante da noi per andare ad assediare Mantova”…per non parlare dei buoi che vanno più volte avanti e indietro da Correggio a Borgo Forte.

Il 30 settembre, 150 soldati tedeschi passano da Correggio, si accampano vicino alla Fornace dove c’era un convento di francescani; si riposano, vengono rifocillati e riprendono la marcia dopo aver pagato per il disturbo.
Il 4 ottobre entrano a Correggio 300 e più francesi decisi a saccheggiare la città per aver accolto i tedeschi. Si schierano sotto l’orologio a sciabola nuda.
Dopo febbrili trattative, viene dato l’ordine di rinfoderare le spade. Alle 4 del pomeriggio il Generale Sandos e i suoi soldati se ne vanno.

La situazione precipita il 7: “il Generale Bonaparte mandò un avviso stampato in cui manifestava rotto ed infranto l’armistizio tra lo stato e i Francesi, perché il Duca non aveva pagato…”.
Fatti e rivolgimenti di grande importanza avvengono nei giorni successivi.
“Il Generale dichiarava sotto la sua protezione tutto lo stato e nemici della Repubblica Francese chiunque tentasse di opporvisi e di opporsi contro la proprietà di questi popoli. Ora siccome siamo sotto la protezione de’ Francesi si muta il nome ai mesi e ai giorni dell’anno. Anno essi diviso l’anno in dodici mesi tutti di 30 giorni divisi in tre decadi […] il loro anno comincia il 22 di Settembre, non anno domenica, feste, ne natale, ne alcuna altra solennità, ne giorno dedicato al Signore, ne Santi, ne alla Beata Vergine, insomma come i gentili. […] I nomi dei loro 12 mesi sono Vendemmiaire, Brumaire, Frimaire, Nivose, Pluviose, Ventose, Germinal, Floreal, Prairial, Messidor, Thermidor e Fructidor. E noi pure abbiamo ora il lunario Francese suddetto, che corrisponde al calendario Italiano per l’anno quinto della Repubblica Francese una ed indivisibile e primo d’Italia”.

Il 9 ottobre, la giornata comincia alle 6. Truppe di fanteria e pezzi di artiglieria partono per Borgo Forte a tamburo battente.
Un certo Fermo di Fabbrico, uno tra i capi giacobini, vorrebbe mettere in atto la rivoluzione subito, ma il Generale Sandos fa affiggere un ordine sulla colonna che nessuno facesse alzate di testa (come volere il denaro della cassa pubblica o liberare i carcerati), che le cose erano come prima dell’armistizio e che non avrebbe tollerato nessun uomo armato che non fosse della guardia civica.
Come scrive il Professor Alberto Ghidini nell’introduzione, Vellani «manifesta apertamente sul piano politico le sue simpatie e antipatie, le sue idiosincrasie per i francesi e la rivoluzione» e noi lo possiamo ben capire: la ventata rivoluzionaria sconvolge la tranquillità di una piccola cittadina di provincia, della quale, fino alla nota del 9 maggio, il nostro cronachista aveva registrato «i fatti, le voci e i pettegolezzi giornalieri […] le ricorrenze, la cronaca piccante e la cronaca nera».
Ora Vellani definisce i giacobini di Correggio e dei paesi vicini pezzi cattivi. In breve costoro, la notte precedente, avevano tagliato una pioppa e l’avevano piantata sotto l’orologio come albero della libertà, poi armati come tanti assassini andarono a cancellare le orme sovrane dove erano, cioè avevano staccato le targhe o cancellato le scritte del rimosso Duca. Da Reggio Emilia, il generale Sandos disapprova che si sia eretto l’albero e che siano state cancellate le targhe ducali prima del suo arrivo e commina una multa di 250 zecchini da pagare subito e così raccolti: 125 dall’università ebraica, 100 dai Francescani e 25 dal Collegio.
Vengono scelti dei cittadini per fare la guardia all’albero della libertà: si accenna appena di sfuggita che tra i reclutati c’è anche il personale del Convitto di cui Vellani fa parte.

Ve lo lascio immaginare, piantato là a far la guardia con l’obbligatoria coccarda tricolore sulla giacca.
Dal 10 al 14 ottobre ci sono ordini e contrordini e una gran sospensione. Napoleone rende noti i componenti del Comitato di Governo che vanno a sostituire la soppressa reggenza. A Correggio, il Governatore viene confermato.
La sera dell’11 passano quasi 1000 francesi diretti a Ferrara. Il cronista ci informa del superlavoro che dovettero sostenere le donne pubbliche e in particolare una tal Zanobia.
Il 12 viene convocato e poi rimandato per la terza volta un Consiglio dei “capi di casa” col compito di eleggere la municipalità.
Il 13 si esposero tre proclami di tipo politico e amministrativo, molto significativi per comprendere cosa intendesse Napoleone per Repubblica…

Ma il nostro Cancelliere è stato fin troppo con le braccia tese, perciò torniamo a quel piccolo falò.
Con una incerta rotazione, getta il libro nel fuoco mentre la gente strepita.
Un tizio prende il libro al volo e lo scompagina beffardo davanti agli occhi degli astanti per poi ributtarlo nel fuoco: il calore e il vento fanno lentamente girare le pagine, nelle quali si possono vedere uno per uno gli stemmi delle famiglie nobiliari così poco simbolicamente avvampare.

Continua.

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