Il nostro momento

Il Nastro Rosso

Avete presente Mary Poppins?

Sì, proprio lei, la tata meravigliosa che tutti i bambini vorrebbero avere, anche se si trattasse di dover mettere in ordine la propria stanza, perché lei saprebbe sempre come rendere divertenti e indolori le cose.

Penso di aver visto questo film una trentina di volte, senza contare il fatto che all’uscita al cinema di Saving Mr. Banks, la storia del tortuoso adattamento cinematografico del libro di P. L. Travers, mi sono precipitata a vederlo.

Adoro tutto di questa storia: le canzoni, il moralismo che è adatto ai tempi in cui fu scritto… e l’insospettabile carica eversiva dei suoi personaggi, che in fin dei conti sono assurdi e vivono ai margini della società. Pensiamo alla vecchietta che vende le briciole di pane perché siano date ai piccioni, agli spazzacamini che in Inghilterra rappresentavano il gradino più basso della scala sociale. Pensiamo a Bert, che è diventato sorridente archetipo di questa categoria.

Questi personaggi, perlomeno nell’ottica in cui li dipinge il film (non mi attarderò sul libro, non avendolo letto), sembrano però sostanzialmente felici della propria condizione. Non vedremo mai smorfie di rammarico sostituire il perenne sorriso di Bert.
È una rappresentazione rassicurante, penseranno in molti. Una finzione per bambini che non devono essere messi davanti alla durezza della situazione reale.

A ben pensare, in realtà, un personaggio emarginato eppure ribelle esiste, in questa storia di dipinti a gesso e caccia alla volpe.

Della madre di Jane e Michael non ricordo il nome.
Non mi documenterò per cercarlo, né so se sia mai esplicitato, ma proprio questo fatto mi sembra importante.
È un personaggio che dovrebbe avere un certo rilievo, ma che in realtà compare in ben rare occasioni.
Dopotutto, il suo ruolo più tradizionalmente materno, quello di prendersi cura dei bambini, della loro salute e della loro formazione, è sostanzialmente fagocitato da Mary Poppins stessa.

La madre è uno spettro gioioso, cui la trasposizione cinematografica di Walt Disney ha aggiunto la caratteristica di cui oggi mi interessa parlare.

È femminista.
Una suffragetta che combatte per i propri diritti marciando con altre donne.
Così, proprio in una vicenda pensata per i bambini degli anni Sessanta, fa prepotentemente ingresso la Storia.
Siamo nel 1906, in un periodo cruciale per la storia delle rivendicazioni femminili. Dopo tre anni, precisamente il 23 febbraio 1909, verrà celebrata la prima giornata della donna a New York.

Vorrei che in questo mese potessimo soffermarci sul ricordo di coloro che hanno lottato per i nostri diritti, che hanno fatto sì che io possa parlarvi con la mia voce di carta, pur anonima, ma sempre inconfondibilmente femminile. La parità di genere non dovrebbe essere solamente un discorso preconfezionato da scongelare in marzo, ma il punto focale della politica di questo e dei prossimi governi. È un discorso molto complesso, me ne rendo conto, che meriterebbe ben altro spazio rispetto alla mia modesta pagina. Scrivendo di questo argomento si rischia pericolosamente di cadere nella retorica. Proprio per evitare di incorrere in questa trappola mi sono interrogata a lungo su come dovessi concludere la mia rubrica. Alla fine, ho deciso che la voce più adatta non era la mia, ma una molto più autorevole di cui si è parlato tanto in questi giorni. Il titolo di oggi trae ispirazione dal discorso tenuto da Patricia Arquette, fresca vincitrice dell’Oscar come migliore attrice non protagonista. Vuole essere un augurio ed anche un imperativo. L’interprete del film Boyhood ha parlato per pochi momenti, ma l’ha fatto con un’intensità tale da far vibrare letteralmente il Dolby Theatre di Hollywood.

Frasi semplici e potenti: «uguali diritti per le donne degli Stati Uniti d’America».

E d’Europa e d’Africa e d’Asia, aggiungiamo noi.

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