Il mondo ha fame: di cibo, di pace e di equità

Ai primi di luglio di quest’anno è stato pubblicato il rapporto dell’ONU per il 2022 dal titolo “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo”. I dati esposti non sono per nulla confortanti e dimostrano quanto cammino resta da compiere per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda ONU.

Maurizio Martina, già Ministro delle politiche agricole nei Governi Renzi e Gentiloni, dal gennaio 2021 è Vicedirettore generale della FAO (Food Agricultural Organization), l’Agenzia dell’ONU per l’agricoltura e la sicurezza alimentare con sede principale a Roma. Prendendo spunto da questo preoccupante rapporto gli abbiamo rivolto alcune domande per il nostro mensile, a cui ha prontamente e gentilmente risposto. Lo ringraziamo per la cortese disponibilità.

Dottor Martina, questo recentissimo rapporto dell’ONU mostra come nel 2021 sono salite a 828 milioni le persone che soffrono la fame nel mondo, allontanando così l’obiettivo di sconfiggere, entro il 2030, fame, insicurezza alimentare e malnutrizione nel pianeta. Tutta colpa del Covid? O c’è un problema generale di politiche per lo sviluppo e di cooperazione internazionale?

«Crisi globali come la pandemia, conflitti e cambiamento climatico sono le tra grandi cause dell’aumento della fame nel mondo. Dal 2014 purtroppo la curva della malnutrizione cresce sensibilmente e questi ultimi anni hanno aggravato di molto la situazione. Sicuramente abbiamo un generale problema di equità e di equilibrio dei sistemi alimentari nel mondo, con differenze sempre più mancate tra i diversi contesti».

In questi giorni è partita da Istanbul la prima delle navi che dovrebbero portare il grano ai Paesi più poveri, dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, due grandi Paesi produttori ed esportatori di cereali, leguminose e fertilizzanti per l’agricoltura. Che conseguenze comporta il collasso del mercato internazionale per i Paesi più poveri?

«I prezzi alimentari globali sono in crescita da oltre un anno. L’esplosione dei costi energetici, dovuta alla pandemia, è stata la prima causa di questo incremento. La guerra in Ucraina ha aggravato ulteriormente il quadro, soprattutto perché oltre cinquanta paesi in via di sviluppo ricevevano più del 30% dei loro cereali dai due paesi in conflitto. La situazione oggi è ancora tesa, con alcuni paesi come Tunisia, Egitto, Libano e Siria fortemente esposti».

 

Esistono piani di emergenza che vedono il coinvolgimento diretto della FAO in questo contesto così drammatico?

«Si, ci siamo mossi fin dall’inizio del conflitto. Abbiamo oltre cento nostri operatori al lavoro in Ucraina. Aiutiamo gli agricoltori del territorio nelle semine, dove è possibile, e li sosteniamo anche con piccoli contributi economici. Stiamo anche lavorando ad un piano straordinario di immagazzinamento temporaneo di almeno quattro milioni di tonnellate di cereali in vista dei raccolti di ottobre».

L’arma del grano e l’incertezza della situazione globale stanno provocando a loro volta nuovi fenomeni di speculazione. Di che armi dispongono gli organismi internazionali per combattere e prevenire tali fenomeni?

«C’è grande attenzione per l’evoluzione del quadro nei mercati, non possiamo escludere nulla. La FAO dispone di uno strumento chiamato AMIS (Agricultural Market Information System), espressamente rivolto al monitoraggio dei mercati globali dei beni agricoli: attraverso questa piattaforma cerchiamo di offrire la massima trasparenza degli andamenti di mercato».

Che effetto ha il cambiamento climatico sull’equilibrio alimentare e sul benessere dell’umanità? La sostenibilità delle produzioni ha fatto sufficienti passi avanti oppure, sotto l’effetto del caro energia, si sta tornando indietro?

«Il cambiamento climatico oggi è la grande sfida che anche l’agricoltura deve affrontare. Basti vedere cos’è successo in questi mesi, anche in Italia, per capirlo. Abbiamo davanti la grande responsabilità di approdare ad un nuovo equilibrio anche tra ambiente e agricoltura, tenendo insieme queste due dimensioni che non possono e non devono scindersi, diventando antagoniste. Le politiche di transizione ed adattamento sono essenziali e devono essere concrete, esigibili, operative. Dagli strumenti per l’efficientamento nell’uso dell’acqua allo sviluppo in campo delle nuove tecniche sostenibili di miglioramento genetico vegetale per avere piante più resistenti, fino ad arrivare all’agricoltura di precisione per produrre meglio, sprecando meno».

C’è chi profetizza la fine della globalizzazione e dei suoi “mitici” effetti, auspicando il ritorno ai protezionismi nazionali come unica via di salvezza per le catene alimentari e la sicurezza del cibo. Lei, dottor Martina, che ne pensa di questa tesi?

«Sarebbe una sciagura. Nessun paese può farcela da solo davanti a queste sfide. Sicuramente la globalizzazione senza regole che abbiamo visto fin qui ha mostrato tutti i suoi limiti: per questo serve un nuovo percorso multilaterale globale che rilanci l’interdipendenza e la cooperazione internazionale. Guai a pensare tuttavia che ciascuno si salvi da solo. Nessun paese, nemmeno il più forte e grande, può farcela senza gli altri».

 

Una sintesi esauriente del rapporto ONU sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo è consultabile al link:

https://www.fao.org/3/cc0639en/online/cc0639en.html

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