Chi non ha mai desiderato possedere un cavallo? Fin da bambini abbiamo visto tra i migliori amici di Cenerentola un cavallo e i topini trasformati in splendidi cavalli bianchi trainanti la zucca divenuta carrozza, il principe azzurro di Biancaneve in sella al suo destriero, o Filippo nella Bella Addormentata nel Bosco combattere Malefica a cavallo… e l’elenco è lungo.
Chissà se anche l’ospite di questa mia intervista si emoziona vedendo questi film: sì perché Uliano Vezzani, classe ’57 nato e vissuto tra Lemizzone e San Martino piccolo fino al militare che lo ha portato prima in Accademia a Modena e poi a viverci per più di trent’anni, coi cavalli ha un rapporto speciale, per passione ma anche e soprattutto per professione. Conosce tutti i cavalli che si esibiscono nelle gare di cui è direttore di pista, e di gare ne dirige moltissime, più di 40/45 all’anno in tutte le parti del Mondo! Solo nel 2018 ha toccato 34 paesi diversi. Conosciamolo meglio.
Che cos’è un direttore di pista?
«Per usare un termine molto chiaro, è l’architetto: colui che sceglie gli ostacoli, i loro colori, le loro forme e poi disegna il tracciato che compirà il cavaliere, distribuendo gli ostacoli.
È un mestiere che richiede un’ottima conoscenza, io ho la fortuna di essere stato anche un cavaliere e questo mi agevola in molte cose, nella scelta del colore, degli ostacoli, della loro disposizione in un punto preciso sul campo».
Cosa ti ha fatto passare da cavaliere a direttore?
«Ho dovuto interrompere per qualche anno la mia passione per motivi famigliari, ma il cavallo l’avevo nel sangue, non ce l’ho più fatta e sono tornato.
Ma poiché questo è uno sport sempre in evoluzione, quando sono rientrato non ero più in grado di gareggiare e quindi, avendo provato tempo prima così, per scherzo, a tracciare un percorso, ne rimasi piacevolmente sorpreso e mi dissi che avrei fatto questo tipo di lavoro. Sono andato all’estero per cercare di imparare e aumentare le mie conoscenze nei paesi più evoluti come la Francia e la Germania, dove c’è una vera cultura del mestiere del direttore di pista. Ho cercato di “rubare” il più possibile da tutti i maestri che ho avuto».
Ne hai avuto uno in particolare a cui sei più legato?
«Ne ho avuti tanti, perché ciascuno di loro aveva caratteristiche diverse ed io ho cercato di trarre qualcosa rielaborandolo secondo le mie capacità ed adattandolo al mio modo di essere.
È un lavoro molto creativo. Ci vuole un’ottima conoscenza del cavallo ma soprattutto bisogna amarlo tantissimo».
Che animale è il cavallo?
«È un animale metodico, capace di apprendere: tu fai un lavoro e lui se lo ricorda, è intelligente, un animale che si affeziona, che ti da tutto di sé quando ha preso fiducia. Logicamente non è paragonabile ad un animale da compagnia anche se lo è, ha le sue indipendenze. Richiede tanta cura, è un animale delicato, per esempio gli sbalzi di temperatura per lui sono terribili».
Ti hanno soprannominato “The Master”, il Maestro. Ti ricordi quando e dove?
«Ricordo che quando arrivai a Los Angeles per il “Longines Masters” vidi questo enorme manifesto di benvenuto con questo soprannome. Credo che mi chiamino così perché mi piace molto
dialogare, confrontarmi, insegnare e lo faccio con molta professionalità e dedizione. Per esempio sono il primo ad arrivare al mattino e l’ultimo ad andarmene alla sera anche se potrei farne a meno, ma per me una gara non parte e non si conclude se non ci sono io. Tuttavia è un lavoro di squadra, ho una serie di ragazzi con me che sono indispensabili e bravissimi, non si può fare tutto da soli. È un lavoro fisico e mentale, che richiede sforzi sotto entrambi i punti di vista.
Considera che un percorso di media è 500 metri: lo devi preparare, camminare, mettere gli ostacoli, camminare di nuovo, ritornare indietro, misurare, quindi si fa presto a percorrere 15/20 km al giorno».
Quindi spiegami l’atto creativo e le sue fasi…
«Prima lo penso, ne faccio una bozza di massima al pc, poi vado a provarlo su campo (e non corrisponde mai).
Quando lo provo, se non mi convince lo cambio totalmente, anche se a pc è perfetto. Il modello virtuale ti può piacere, ma camminarlo è tutta un’altra cosa. Nel momento in cui io dico che il campo è pronto c’è un presidente di giuria che viene in campo e controlla il mio operato, dopodiché autorizza col suono di una campana l’ingresso in campo dei cavalieri, che prendono visione del percorso. Lo camminano come ho fatto io per poi informarsi su cosa devono fare quando entreranno col cavallo. Questo è il momento più bello per me: mi chiedono cosa vorrei che avvenisse anche a livello di spettacolo e come penso che il cavallo affronterà l’ostacolo. Faccio un esempio: il cavaliere mi dice quale cavallo intende montare (io li conosco tutti) ed do a lui la dritta di come dovrebbe portarlo a superare l’ostacolo. Si crea un rapporto di complicità. Io non sono contro di loro, sebbene io crei un percorso per creare loro delle difficoltà perché si tratta di una gara, ma di sicuro non sono mai contro il cavallo. Quando metto un ostacolo sono sicuro che il cavallo lo può superare: può sbagliarlo, ma mai correre pericolo. Oggi di direttori di campo ce ne sono tanti, ma è la cura del dettaglio che fa la differenza ed è questo che ricavo parlando coi cavalieri».
Conosci davvero tutti i cavalli?
«Per forza, se non li conosci non sei in grado di fare il mestiere. Quando vedo un cavallo, in due minuti so dire se un tipo di ostacolo lo salta bene o meno bene. Sai, io posso rovinare un cavallo: un percorso sbagliato lo può distruggere. Per questo è una grande responsabilità, ma anche una grande soddisfazione».
Nella tua carriera hai ricevuto moltissimi premi, ne hai uno a cui sei più affezionato o a cui tieni maggiormente?
«Beh, quello legato al nostro concorso a Piazza di Siena. È il primo a cui ho partecipato a livello internazionale come assistente, mettevo su le barriere (i pali, in gergo) sugli ostacoli e lì ho imparato. Sono sedici o diciassette anni che lo faccio, ma ogni volta che entro in quel campo è sempre una grande emozione. Ora partecipo solo a tornei internazionali, che si svolgono in location sempre fantastiche coi migliori cavalli e cavalieri, ma il mio vantaggio rispetto a tanti altri direttori di campo è che ogni domenica cambio posto, quindi ho un campo diverso, delle situazioni diverse e questo continua a stimolare la mia fantasia».
Hai un ulteriore obiettivo che vorresti raggiungere?
«Ti potrei dire le Olimpiadi o i Campionati del Mondo, ma sono gare che non dipendono dal tuo valore. Le Olimpiadi 2024 saranno in Francia e scommetto che, anche se a rigor di logica dovrebbero essere le mie, la Francia preferirà un francese. Io potrò avere un incarico come delegato tecnico, come supporto o consulente ma difficilmente saranno le mie Olimpiadi. Però visto che la Federazione deve nominare tre direttori di campo, perché il titolare potrebbe sempre stare male, io sono presente da diverse edizioni nella rosa dei candidati».
Quali fattori incidono nella creazione di un percorso?
«La qualità del terreno (elastico, pianeggiante, poco profondo) o il fattore sole perché non non si può rischiare di abbagliare i partecipanti, ma il fatto più importante è mettere tutti i partecipanti nelle stesse condizioni.
Bisogna prevedere anche l’imprevisto come la pioggia prima o durante la gara. Per questo i veri direttori sono pochi, direi due o tre. È difficilissimo come mestiere».
Uliano è veramente un professionista unico, generoso e appassionato.
Nell’ora passata insieme è riuscito a trasmettermi la bellezza di questo sport, spiegandomelo con la semplicità e l’entusiasmo che solo chi ama intensamente ciò che fa è in grado di esprimere. Da questo si capisce perché è un numero uno: lui non fa il direttore di gara, lui è il direttore di gara.
Non è solo un mestiere è soprattutto la sua vocazione, ciò che lo rende felice.