Era austriaco il primo brevetto, registrato nel 1901, che impastava col cemento le fibre di amianto macinate, nella percentuale di 6 a 1, per produrre un materiale leggero, resistente alle alte temperature e all’azione di agenti chimici, biologici e meccanici; fonoassorbente e coibentante; ed economico. Com’è possibile che solamente a distanza di settant’anni si sia cominciato a comprendere i rischi e i danni che comportava? Sì, perché le prime ricerche sistematiche furono realizzate negli USA a metà degli anni sessanta, e i risultati furono illustrati nel congresso di Lione nel 1972. In Italia la messa al bando dell’estrazione, importazione e uso dell’amianto avviene nel 1992.
L’amianto, di cui l’Italia era il primo estrattore europeo, veniva utilizzato in moltissimi settori, ad esempio per tessuti ignifughi, freni e frizioni, pannelli isolanti, perfino corde e carta. Ma nella veste di fibrocemento diventò protagonista dello sviluppo dell’edilizia: dalle coperture in ondulato ai tubi per acquedotti e fogne, alla coibentazione degli edifici.
Nel nostro paese leader del fibrocemento era la Eternit di Casale Monferrato, che fu tra le prime società a quotarsi in borsa e inventò la tecnologia per la produzione di tubi resistenti alle alte pressioni. Per questo motivo venne acquistata nel dopoguerra dai 3 colossi che, attraverso incroci azionari, dominavano il mercato europeo: uno svizzero, uno belga e uno francese. Un polo di medie e piccole imprese sorse negli anni cinquanta in provincia di Reggio Emilia, favorito dal fatto che la tecnologia di produzione era piuttosto semplice, ad alta intensità di manodopera. Arrivarono ad essere 9 le imprese nella produzione di manufatti in fibrocemento. Tra di esse Etenit Rubiera, Fibrotubi a Bagnolo, Landini a Castelnovo sotto e Cemental a Correggio.
La Cemental fu fondata nel 1952 dal Cav. Sergio Ponti a cui, dopo la morte avvenuta nel 1971, succedette il figlio Franco. L’impresa si sviluppò soprattutto nella produzione di tubi. Grazie al boom delle infrastrutture e dell’edilizia, in un’epoca di forte disoccupazione che seguiva alla guerra, arrivò ad avere quasi 300 dipendenti e diede lavoro, nel corso della sua attività, a un migliaio di persone.
L’uso dell’amianto declinò dalla fine degli anni settanta a causa del successo di materiali alternativi, soprattutto plastici. La Eternit fallisce nel 1986. La Cemental cessa l’attività nel 1989 e sul sito dello stabilimento, adeguatamente risanato, verrà edificato il complesso immobiliare delle Corti.
Nel 2014 a Torino la Corte di Cassazione ha concluso il processo contro gli amministratori di Eternit per disastro ambientale e strage, dichiarando prescritti questi reati.
Il 5 aprile 2016 è iniziato presso il tribunale di Reggio il processo intentato ai dirigenti della Cemental per omicidio colposo e lesioni gravi. Com’è possibile che ciò accada trent’anni dopo la cessazione del rischio industriale?
Questa è la seconda storia dell’amianto, quella della scoperta dei danni che causa. Negli atti del processo contro la Eternit si legge che nel 1976 il cartello europeo dell’amianto organizzò un convegno ammettendo la pericolosità delle fibre di amianto al di sotto di un certo diametro, limitando però alla sola asbestosi (una malattia polmonare cronica ndr) una correlazione certa. Durante tutti gli anni ’70 il cartello produsse nei diversi paesi un’azione di lobby verso governi e sindacati per contestare i dati che stavano emergendo.
Abbiamo chiesto al dottor Nelson Magnani, che è stato responsabile della medicina del lavoro dei comuni del distretto di Correggio dal 1973 al 1997, di raccontarci questa storia. «L’asbestosi è una malattia nota da tempo, legata alla quantità di polveri d’amianto inalate direttamente sul luogo di lavoro, che provoca difficoltà cardiorespiratorie e può comparire a distanza di 10/15 anni.
Fin dal 1956 nella nostra legislazione era inserita tra le malattie professionali, il che comportava l’assicurazione obbligatoria e l’indennità di rischio. Il carcinoma al polmone e il mesotelioma pleurico invece, sono indipendenti dall’asbestosi e, si è scoperto poi, hanno un’insorgenza il primo dopo 20 anni e il secondo fino a 50. Sono tumori atipici, che dipendono sì dall’esposizione alla fonte inquinante ma non dalla sua quantità e durata: lo si è scoperto quando si ammalarono anche le mogli che entravano in contatto con l’amianto lavando i vestiti degli operai. E purtroppo il danno non regredisce al cessare dell’esposizione. Ci volle molto tempo perché le indagini epidemiologiche portassero la medicina a queste certezze».
Come venne affrontata l’emergenza amianto?
«Nel 1973 fu istituito all’interno dei consorzi sanitari il servizio di medicina del lavoro, che non ebbe però alcun potere ispettivo fino al 1987. Negli stabilimenti industriali i medici del consorzio entravano solo come consulenti dei sindacati e nelle ore sancite dai contratti sindacali. Compivamo un sopralluogo nei reparti verificando il rispetto delle norme di igiene del lavoro e relazionavamo all’assemblea dei lavoratori. Nei casi più gravi e urgenti inviavamo all’Ispettorato del Lavoro la relazione tecnica di sopralluogo.
Ma tutto ciò era legato al potere di contrattazione delle rappresentanze di fabbrica: in diverse imprese non venivamo nemmeno ammessi. Devo dire che con la Cemental i rapporti furono sempre molto collaborativi e i suggerimenti del consorzio sanitario vennero spesso accolti, come ad esempio l’introduzione della lavorazione in acqua nelle fasi di taglio e rifinitura, le più pericolose per la salute. Purtroppo, nonostante le crescenti denunce dei movimenti ambientalisti, di fronte alla mancanza di certezze si cercò di intervenire con una prevenzione tradizionale e con protezioni parziali, strategia che nel caso dell’amianto, col senno di poi, si è rivelata inadeguata».
Il fatto è che dal 1996 (anno in cui è stato istituito il registro dei mesoteliomi) al 2014 si sono avuti a Reggio e provincia 308 casi, nell’85% dei quali risulta provata l’origine da esposizione alle polveri di amianto. La media è di 17 all’anno, ma tra il primo e l’ultimo anno del periodo i casi sono raddoppiati. Il picco è previsto per il 2025. Ovviamente sempre meno l’esposizione all’amianto risulta avvenuta negli stabilimenti di produzione, sempre di più in altri luoghi, soprattutto in cantieri edili.
Ma la storia dell’amianto non è finita. Ancora oggi siamo dentro alla terza storia, quella della liberazione dell’ambiente dall’amianto.
La bonifica del cemento amianto
Secondo il censimento dell’amianto nei luoghi aperti al pubblico, realizzato dalla Regione Emilia-Romagna dopo aver risanato i siti con materiali friabili, al 15 giugno 2015 restavano da bonificare dal cemento-amianto 66 edifici in provincia di Reggio, di cui a Correggio solo i poliambulatori ex-INAM. Restano invece da risanare ancora molti edifici privati (case, stalle e capannoni). I manufatti in cemento-amianto se in buone condizioni non rappresentano alcun rischio. Vanno periodicamente controllati perché diventano pericolosi con il loro deterioramento.
Gli interventi possono essere di 3 tipi:
- la rimozione, che avviene dopo una spruzzatura di inertizzante, e il materiale viene poi conferito in discariche dotate di speciali impianti di smaltimento;
- il trattamento con materiale ricoprente, che è la soluzione più economica ma provvisoria;
- la barriera a tenuta, separando fisicamente il manufatto dall’ambiente, utilizzabile in caso di colonne, tubazioni e altro.