A Correggio, una quindicina di ragazzi s’è presa la briga di fare carnevale senza avvertire nessuno, senza finanziamenti, senza manifesti per le vie del borgo o strombazzamenti in giro: nessuna radio libera ci ha messo lo zampino, nessun inviato stampa. Così un sabato pomeriggio arrivano in piazza un carro trainato da una piccola ciuca, gente stranissima ma riconoscibile, due oche tenute al guinzaglio e lerce di pantano, qualche gallina che razzola tra i coriandoli e scavalca i ranghi scassati del corteo, inseguita dai bambinetti che provocano, i crudeli, facendo: “Coccodé”.
Davanti al carro che c’ha sopra dei cestoni di vimini con frittelle e robe mangerecce e leccornie grasse e festose per le pance della gente, ci stanno due tre tizi intabarrati e truccati di borotalco e crema nivea e matita nera che smartellano sui lattoni con mazze di legno e fanno grancasino e tutto un bùm-bùm-bumbùm che la gente pensa, un po’ in campana, l’FLM anche di sabato, oibò!
E invece, dietro, pifferi e flauti e campanacci e robaccia sonora e materiale-rumore e petardi e girandole e filastrocche popolari: “Venite venite, il gran carnevale a sentire”. Tutta la truppa che urla, grida e sbertuccia la gente timidotta, perché in piazza ci stanno anche quelli dignitosi e fighetti che non si scomporrebbero nemmeno se arrivasse il Padreterno con tutti i Troni e le Dominazioni in tenuta Gran Gala: be’, questi se ne prendono dalle stregacce e dalle maliarde di tutti i colori, offese, spergiuri e improperi, perché, come si sa, carnevale è licenza, è corporalità, è abbassamento e digestione ed espulsione di tutto ciò che è alto e colto e gerarchico e tribunalesco. Carnevale è allacciamento di intensità fra la gente, senza nessuna distinzione, è ribaltamento e scoronazione dell’autorità.
Passo tratto da “Un weekend postmoderno”,
capitolo “Warriors a Correggio”,
di Pier Vittorio Tondelli