Il frigorifero dei nostri avi

Questo scatto, risalente all’incirca agli anni venti del Novecento, è un raro cimelio fotografico che restituisce ai correggesi la memoria di un’antica costruzione da tempo caduta nell’oblio. Ci si trova nel luogo di Porta Modena: a destra si notano i due pilastri che avevano sostituito l’antica Porta  abbattuta nel 1879 e che si aprono su corso Mazzini; a sinistra sorge un edificio Trattoria; di fronte spicca un ragazzo seduto su un muretto che contorna un cantiere (probabilmente del “Garage Foroni”, di cui s’è parlato nel numero di aprile); sul fondo, sovrastato da una corona di rigogliosi alberi, emerge una bassa costruzione la cui facciata richiama un tempietto romano, con una porticina che conduce a un luogo di preghiera. Del “tempietto” si nota un po’ l’incuria della vegetazione che lo invade.

Si tratta della ghiacciaia di Correggio, la giasèra nel nostro dialetto: era il frigorifero dei nostri antenati, che avevano escogitato un’ecologica maniera per conservare gli alimenti nel periodo estivo. Le prime ghiacciaie di cui si ha testimonianza in Italia risalgono al XIII secolo e si trovavano a Bologna. A Correggio si ha notizia di due ghiacciaie esistenti entro le mura: una sul lato nord, confinante con il Convitto, e la sopraddetta (in foto) sul lato est, rivolta verso piazza Carducci da dove si diparte la strada verso Carpi. Questa ghiacciaia era ubicata sul retro del Palazzo dei Principi e della chiesa di San Quirino, al confine con la cerchia muraria e con la Porta di san Giovanni o di Modena: qui s’estendevano i giardini dei Signori da Correggio, che dall’anno 1635 divennero di proprietà del Duca d’Este di Modena. Con decreto 12 aprile 1858, la ghiacciaia, con annesso prato detto “Giardino” (ex giardini dei Principi), fu ceduta alla Comunità di Correggio e gestita dall’amministrazione comunale: si imponeva una tariffa ai cittadini che ne facevano uso. Principalmente veniva utilizzata dai macellai per conservare le carni, dai locandieri per raffrescare le bevande e da qualche residente con necessità di conservare alimenti. Le abitazioni signorili situate all’esterno delle mura cittadine non ne avevano bisogno, poiché già provviste di una propria ghiacciaia.

Tutt’intorno la ghiacciaia è custodita da alberi ad alto fusto, i cosiddetti marugòun (robinie) che, con le loro frondose chiome, attenuavano il caldo estivo sulla zona. Dalla memoria di Tullio Marchi (Correggio Produce, 1983) emerge un’interessante ricordo d’infanzia: la sommità rotondeggiante della ghiacciaia era ormai divenuta una montagnola di terra spelacchiata, a causa delle corse su e giù dei ragazzini che si divertivano. Marchi racconta che quando si apriva la porta di ferro e legno sull’interno si veniva colpiti soprattutto dal buio, oltre che da un’aria umidiccia e fredda, che incutevano un senso di paura. Si accendeva, allora, la lanterna (la lòma), e la luce disegnava sui muri le impressionanti ombre dei quarti di vacca, di bue, o di altri animali appesi ai robusti ganci che pendevano dalla tondeggiante calotta in pietra.

Quando un macellaio doveva fare un prelievo di carne, entrava accompagnato dalla guardia (il guardiot), messa a sorvegliare la porta per evitare truffe e ruberie.

La ghiacciaia consisteva in un buco profondo circa otto metri, rivestito di mattoni e col soffitto a volta che all’esterno si rotondeggiava, formando una montagnola terrosa. D’inverno il buco veniva stipato di neve fino a raggiungere il piano della soglia d’entrata, e la si ricopriva con teli di canapa grezza per mantenerla pulita. D’estate, man mano che la temperatura esterna si alzava, la neve lentamente si scioglieva e si poteva scendere, con scaletti di legno, anche di due o tre metri. Il freddo si manteneva fino ad autunno inoltrato quando, non avendone più bisogno, si procedeva a pulire il fondo della cavità che conservava ancora un metro circa di ghiaccio, ormai diventato verde e nero. Allora si cambiavano le fascine (i fassi) che s’adagiavano su un mucchio di sassi di fiume (vresper ed piciorli) e sulle quali si accatastava la neve sul fondo, permettendo lo scolo. Alla prima nevicata iniziava il lavoro di riempimento e, di nuovo, il cumulo veniva coperto con i teli di canapa per essere, così, pronti per affrontare la calura estiva. Nel primo Novecento la ghiacciaia comunale di Correggio fu dismessa definitivamente e, in seguito, colmata per mettere mano al bel progetto dei nuovi giardini di Correggio.

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