Il farmacista che amava la musica e il tiro al piattello

Giovanni Lasagni, la sua Correggio, le sue passioni

Siamo nel 1915: si abbattono le mura da Porta Reggio al viale della stazione ferroviaria, si è da poco inaugurato il “Politeama” con Rigoletto di Verdi e Linda di Donizzetti. Però gli effetti della guerra non tardano a farsi sentire: tutto rincara a dismisura.
Lo scutmâi della famiglia Lasagni (zamblèin) pare derivi da “Giovanni bellino”. Infatti il primo febbraio nasce Giovanni, che prende il nome del bisnonno come si evince dal testo curato da Nanni Benati riguardante la genealogia della famiglia. I Lasagni si trasferiscono nei primi anni venti da Mandrio a Correggio e pensano di far studiare il figliolo al Convitto “Rinaldo Corso”. Giovanni ha nove anni e sentendosi lontano dalla famiglia, dalla mamma e dal suo bacio della buonanotte, qualche volta si commuove.
farmacista1I convittori tornavano a casa una volta al mese. Le giornate erano scandite da orari precisi: sveglia, pulizia personale, scuola, pranzo, ricreazione, studio. La domenica uscivano in divisa e inquadrati in passeggiata o al cinema a vedere ad esempio Le Allegre Comari di Windsor, mentre il maestro Scaravelli suonava il pianoforte. Giovanni aveva un mandolino del padre e suonava Zichipachi o Stramilano, mentre i compagni cercavano di seguirlo cantando. In Convitto si abitua a stare con gli altri, a studiare, ad essere disciplinato, a sopportare il freddo (l’acqua calda doveva ancora essere scoperta…). Lasciata la divisa del Convitto, frequenta l’Università a Modena dove impara l’arte di preparare i farmaci secondo le regole della farmacopea. C’è anche una squadra di rugby dell’Università e Giovanni vi si butta a capofitto, primo a Correggio a dedicarsi a questo sport: siamo nel ‘37. In quell’anno partecipa infatti ai Campionati Universitari a Torino.
Stasera sono in compagnia della figlia del dottore, Carla (l’altra è Alessandra). Passa per un saluto anche Paolo, il primogenito.
Carla racconta: «A Modena mio padre ha frequentato cinque anni di chimica e farmacia; allora preparavano le medicine e lui avrebbe così potuto lavorare anche in un’industria chimica. Poi, a Firenze, ha fatto il corso ufficiali per farmacisti. Sottotenente, venne destinato a Bologna, quindi vicino, senza mai -come lui diceva- una raccomandazione o una spinta di qualsiasi genere. Dopo una campagna brevissima presso Trieste venne trasferito all’ospedale militare di Cervia, che in precedenza era una colonia poi trasformata in ospedale. Essendo responsabile della farmacia, dopo l’8 settembre si trattenne ancora per fare l’inventario e poi, con mezzi di fortuna, tornò a casa. Qui la farmacia Recordati aveva necessità di farmacisti, e con questa ditta terminò il periodo bellico e lavorò alcuni anni. Mio padre trovò poi un impiego presso la farmacia Turrini, che allora era situata nei locali oggi di Unicredit in Corso Mazzini. Nel 1956 colse l’opportunità di acquistarla».

So che il dottore aveva diverse passioni…
«Ne aveva tante! Era uno sportivo e dopo il rugby si vantava che con lui era arrivata a Correggio la prima rete per il tennis, comprata da lui insieme ad alcuni suoi amici e sistemata in un campo preparato alla villa Recordati. Da giovane tirava anche al piattello, così era diventato un bravo cacciatore. Non andava lontano, ma vicino: a tortore, beccaccini, fagiani. Sul retro della farmacia dagli anni ‘60 in poi, verso le cinque del pomeriggio, si trovava col dott. Tondelli, il dott. Lodini, il dott. Bassoli e vari cacciatori e lì poteva succedere di spararle grosse.
A raccontare avventure non sai a volte quando dici un fatto o quando la fantasia prende il volo e allora valeva il detto “Slè véra l’è ‘na gran bàla” (se è vera, è una gran balla). A volte mia madre doveva intervenire a moderare il linguaggio e a squalificare qualcuno. Mio padre faceva anche il contadino nel suo podere a San Biagio e molte domeniche le passava là.
Tutto ciò che accadeva a Correggio lo interessava. Collezionava monete, strumenti, fotografie, video; aiutava con molta discrezione la Società di Studi Storici, di cui era Membro Onorario, e la Banda di Correggio».

Allora amava anche la musica!
«Amava molto la musica, essendo cresciuto col suo papà Arturo, che cantava da tenore e che, quando venivano compagnie teatrali, ospitava in casa qualche cantante. In casa c’è sempre stato un pianoforte che papà ha imparato a suonare d’istinto, da autodidatta e ha anche composto molte musiche. Una canzone, all’inizio degli anni ‘60, venne arrangiata, suonata e incisa su 45 giri. Si intitola “Nella pineta” e fa riferimento alla pineta di Milano Marittima. Un’altra la arrangiò il direttore della banda cittadina (mio padre era molto amico del padre del maestro Andreoli) e l’hanno suonata diverse volte.
Papà ha continuato a suonare fino alla fine e a venire in farmacia fino a 94 anni. Ha tenuto la patente fino a 96 anni. Non desiderava mettersi in mostra, ma se qualcuno lo cercava era una persona aperta e disponibile. Negli ultimi anni, muovendosi poco da casa, ha passato dei bei momenti con chi lo veniva frequentemente a trovare; tra questi il dott. Alberto Ghidini, che è stato per anni direttore della biblioteca comunale e con il quale condivideva l’interesse storico per la nostra città. E poi coi carissimi Giulio Taparelli e Aldo Cattania, coi quali manteneva una conversazione sempre aperta, anche grazie alle lunghe telefonate per mezzo delle quali, tra ricordi e scambi di opinioni, si facevano tanta compagnia.
Era capace di trovare battute, barzellette e anche queste se le annotava temendo che la memoria lo tradisse. Ha preso lezioni di chitarra con il vecchio Parmigiani detto Cagèda; registrava col “Geloso” (un registratore degli anni ’60 ndr) le lezioni e i commenti dell’insegnante, anche quando lo sgridava!
Curava poi la sua produzione di aceto balsamico e Emilio Maioli (vedi Primo Piano di novembre ndr) lo ha seguito per un po’. Ha provveduto a fornire di una batteria completa di botticelle ognuno dei sei nipoti. Ma la sua vera passione era la farmacia nella quale ha lavorato sessant’anni e forse vorrebbe essere ricordato come “Il Farmacista”. Un tempo la farmacia aveva turni che duravano un mese, notte e giorno, e lui dormiva anche in farmacia e i suoi amici lo andavano a trovare dopo cena; ci sono ancora bobine e bobine di registrazioni delle loro conversazioni».
Facciamo un giro per la casa dove tutto è stato lasciato al suo posto: pianoforte, chitarra, disegni, spartiti… e chissà quante altre cose ci sono, che – mai viste – verranno trovate. Faccio a Carla una domanda indiscreta: cosa le manca di più di Giovanni?
«Mia mamma è morta ventiquattro anni fa e con papà eravamo spesso insieme noi due; mi manca tanto la sua presenza. Cerco di ricordare i suoi sorrisi, la sua grande bontà».
Poi Carla ricorda, commuovendosi un po’, di quando negli ultimi anni ritornava a casa e trovava la tavola apparecchiata dal papà. E chissà che Giovanni, anche nella serenità del cielo, stia “apparecchiando” in tutta calma per i figli quando, fra cent’anni, “a pigaràn i tvaioo” (piegheranno i tovaglioli).

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