Il diavolo, il vescovo, il carabiniere

Il libro di Bernardi sui fatti del dopoguerra presentato da Primo Piano nell’incontro del 26 ottobre

Nel suo libro “Il Diavolo, il Vescovo, il CarabiniereAntonio Bernardi racconta in modo puntuale e dettagliato fatti e cronache che caratterizzarono il secondo dopoguerra nel reggiano. “Il Diavolo” è Germano Nicolini, comandante partigiano, che ha scontato dieci anni di carcere, seppur innocente, per l’omicidio di Don Pessina; il “Vescovo” è Beniamino Socche che ha compiuto una vera e propria crociata contro il primo, comunista e sindaco, indirizzando a senso unico le indagini; il “Carabiniere” è il capitano Pasquale Vesce che ha costruito la montatura accusatoria.
Il libro ha il merito di chiarire in modo serio e documentato la genesi e la dinamica di eventi che, ancora oggi, qualcuno cerca di utilizzare strumentalmente a fini politici.

Bernardi fornisce al lettore un’esauriente inquadratura del contesto storico, politico e morale in cui sono maturati quei fatti: l’immagine di un’Italia lacerata in cui convivevano speranze e delusioni; le aspirazioni verso radicali cambiamenti che la Resistenza aveva creato in tanti partigiani; le grandi difficoltà di tanti comunisti ad accettare la democrazia dopo ciò che avevano subito durante il fascismo e il nazismo; il pregiudizio ideologico in corpi dello Stato e autorità della Chiesa per i quali il comunista era il nemico da combattere.
Un libro che non vuole mettere la parola fine sull’analisi storico-politica di un periodo così difficile ma che vuole essere un contributo alla chiarezza, nell’amara constatazione di fondo che solo dopo quarant’anni, a degli innocenti come Nicolini è stata resa giustizia.

Marcello Rossi,
professore di storia e italiano, ITS Einaudi di Correggio

 

Tante volte nei miei studi e nelle mie letture mi sono immedesimata in mio nonno e più vengo a conoscenza della sua storia, più non capisco come possa essere stato possibile.
Ma sono giunta alla conclusione che l’uomo è in grado di compiere qualsiasi cosa, buona o cattiva che sia, e la storia qui raccontata lo testimonia.
In questa triste vicenda molti sono i personaggi che non hanno, almeno metaforicamente, dormito sonni tranquilli; eppure il mondo va avanti, con torto o con ragione, sempre.
Da questa complessa vicenda ciò che i giovani devono trarre come insegnamento penso sia il credere nella forza della speranza, speranza che ha portato ad una assoluzione tardiva ma fondamentale, speranza che non si è mai affievolita neanche di fronte all’umiliazione.
La storia di mio nonno è una bella e pesante eredità, che non vorrei tenere solo per me, ma raccontare come ho fatto nel documentario “Non camminiamo da soli”.
Il mio compito penso sia quello di coinvolgere i giovani, che oggi più che mai hanno bisogno di nutrire interessi ed appassionarsi a qualcosa, di seguire un esempio credibile.
La “malattia” che oggi ci affligge è l’indifferenza.
Si deve capire che in un mondo così complesso è la partecipazione a un progetto comune e l’interesse per un mondo migliore che deve metterci in moto.
Oggi non prendere posizione, rimanere fermi e passivi, è il comportamento che va per la maggiore, ma non possiamo permetterlo: non possiamo vivere una vita che non abbiamo scelto o di cui non siamo consapevoli. Serve passione e voglia di verità, quella che penso abbia spinto mio nonno anche nei momenti più bui e difficili della sua vita.
Siamo come mulini a vento in grado di creare energia, ma senza vento siamo inutili. Germano penso ci abbia insegnato questo: che per vivere appieno la vita con le gioie e i dolori che questa prevede, serve prima di tutto amarla.

Francesca Nicolini,
studentessa di filosofia all’Università Statale di Milano, nipote di Germano Nicolini

 

 

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