Il cuculo che volò da Salem ad Aversa

Immagino che tutti conosciate, almeno a grandi linee, la trama della vicenda narrata in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.
Probabilmente, anche se non avete avuto l’occasione di leggere il libro di Ken Kesey, senz’altro avrete visto o sentito parlare del film diretto da Milos Forman per la cui interpretazione, nel 1976, un Jack Nicholson trentanovenne ricevette il suo primo Oscar da attore protagonista.
Saprete quindi che la trama si snoda negli Stati Uniti degli anni ’60, all’interno di un manicomio di Salem dove i pazienti sono tiranneggiati dagli inservienti e dalla laica consecrata che gestisce la struttura.
Il libro fu scritto da Kesey proprio per fare riflettere sui metodi coercitivi e disumani allora utilizzati per curare i degenti.

Lo spettacolo andato in scena all’Asioli nelle giornate di venerdì 4 e sabato 5 novembre, con la regia di Alessandro Gassman e l’adattamento di Maurizio De Giovanni, è il risultato di una trasposizione di tale nota storia, che però viene presentata modificata da uno slittamento sia temporale che spaziale.
La pièce è infatti ambientata in un ospedale psichiatrico di Aversa (Napoli) degli anni ’80.
In questo modo non solo i protagonisti risultano a noi più vicini, ma anche le spinose questioni, che scaturiscono dall’evolversi degli eventi, acquisiscono un taglio assolutamente attuale.

Durante la visione, come è impossibile non provare almeno un senso di rifiuto nei confronti di “terapie” quali l’elettroshock o la lobotomia usate ed abusate anche in Italia almeno sino ai primi anni’80, ossia fino all’entrata in vigore della Legge Basaglia?

Entrambe sono subite dal protagonista Dario Denise, e risulta difficile mettere a tacere le spinose domande che si fanno spazio tra il vissuto dei personaggi, per merito, senz’altro, anche della loro coinvolgente simpatia. Si tratta di domande ingombranti del tipo: cos’è in realtà la follia? Chi è tenuto a stabilire chi è folle e chi non lo è? Da cosa è causato il disagio esistenziale provato da alcuni? Sono davvero solo loro stessi la causa dei propri mali? O è il rifiuto che i più mostrano per il dolore e la diversità altrui a causare la sofferenza di coloro che non si sentono accettati?

Certamente uno spettacolo non può prefiggersi di trovare le risposte per problematiche di tale portata, ma può fare riflettere. E lo spettacolo diretto da Gassmann ha sicuramente il duplice merito di riuscire a portare in scena «le manie di un gruppo di pazzierielli», per dirla alla Dario Denise, con una grazia tale da fare sia divertire che pensare. Il ché, secondo me, non è cosa da poco…

L’effetto cinematografico a teatro è nelle corde di Alessandro Gassmann che ha fatto dell’uso di videografie la sua cifra stilistica. Ed è proprio con una videografia che si conclude questo spettacolo, durante la quale è proiettata l’immagine di uno dei pazienti dell’ospedale psichiatrico, l’enorme Ramon, che evade, riacquistando così la sua libertà.
Creduto catatonico dai medici dell’ospedale, Ramon si è finto a lungo sordo muto, ma ad un tratto, grazie all’amicizia e all’interesse mostratogli da Dario Denise, decide di uscire dal suo isolamento e di affrontare le sue paure.
Ed è anche mettendo in pratica una idea di Dario che il gigante buono scappa, ossia gettando una enorme e pesantissima statua della madonna contro una vetrata che così va in frantumi.
Il corpulento Ramon è interpretato da Gilberto Gilozzi, un attore di spessore in tutti i sensi, in quanto pesa 120 kg. ed è alto 1,95 mt!

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