Il bagno nei canali e… la spaventosa “Borda”

Dalle nostre parti, nei mesi della “grande calura”, luglio e agosto, le persone trovavano refrigerio facendo il bagno nei canali. 

Ogni corso d’acqua andava bene per i ragazzini, ma alcuni bacini più strutturati erano diventati dei veri luoghi balneari. 

Nei dintorni di Correggio i più famosi erano la B’dagna e al Blisgoun, posti a fianco del Naviglio.

Un po’ più lontani erano al Ciaughi rosi e la Frecia. 

Non vi era nella nostra zona una tradizione e una cultura del nuoto. 

Le pozze d’acqua erano piccole e non permettevano grandi nuotate “in stile”. 

Le persone stavano al fresco e i più temerari facevano improbabili tuffi dalle rive o dalle ringhiere dei ponti generando l’ilarità di tutti i presenti. 

Pur di stare a galla si usava ogni mezzo (camere d’aria, legni, rami) e ogni tecnica.

Lo stile natatorio si ispirava a qualche animale con cui si condivideva il canale, in particolare le rane, ma i più utilizzavano uno stile improvvisato definito “a cagnina”: muovevano contemporaneamente braccia e gambe in modo confuso. 

Al pomeriggio, i canali erano frequentati prevalentemente da ragazzini che, sfuggiti dal controllo dei genitori, facevano il bagno nudi.

Verso sera, terminato il lavoro, arrivavano al canale anche le persone adulte delle più disparate età. 

Una figura sempre presente era il mitico “Corea”, con i suoi mutandoni bianchi.

I ragazzi si avventuravano spesso in imprese spesso irresponsabili. 

I più arditi si tuffavano nel Naviglio, si immergevano e passando per il “sifone” sbucavano poi nel Blisgoun fra lo stupore ammirato dei bagnanti. I tuffi dovevano essere spettacolari e quindi si inserivano nelle figure capriole e salti mortali. A causa della scarsa profondità degli invasi, spesso cementati, i tuffatori toccavano non di rado il fondo. 

Una volta un ragazzo che si era tuffato di testa, batté il capo sul cemento e poiché non riemergeva; venne salvato dagli amici che andarono a prendere e lo riportarono a riva intontito. 

Da allora il suo nuovo nome (scutmâi) divenne, inevitabilmente, “Affogo”. 

I genitori, per prevenire queste fughe natatorie, spaventavano i bambini ricordando che nei canali e nei fossi vive la “Borda”, un’enorme bestia acquatica con una identità indefinita tra un grande rospo e una strega. 

Per presentarla veniva recitata una paurosa filastrocca:

La Borda
l’e’ una vecia balorda
cun i deint ed fer
la vin fora dal pos
L ‘è mesa pleda e mesa da pler
tut i ragas la j vol magner.

La Borda è un essere immaginario diffuso in tutta la pianura Padana con differenti caratteristiche e leggere variazioni sul nome: Burda, Bordon, Bordeau, Bordò.
Il nome pare derivare dalla radice celtica “Bor” che si rifà a Borvo, divinità delle acque.
Nei dialetti cremasco e bergamasco, “Borda” significa nebbia, in Toscana invece, “Borde” è il nome della strega.
In ogni luogo era comunque un essere spaventoso, creato nell’immaginario popolare per tenere lontano i bambini dai canali.

Sta ateinti che areint al canel a gh’e’ la Borda.

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