Emilia Garuti ha 26 anni, vive da sempre a Rolo, e dopo essersi diplomata al Liceo Classico Rinaldo Corso di Correggio, si è laureata all’Università di Bologna prima in Lettere Moderne, poi in Arti Visive. Attualmente lavora come copywriter in un’agenzia pubblicitaria di Reggio Emilia.
La scrittura e le parole sono la sua quotidianità. Per questo ci tiene a usare quelle giuste. E quando non le trova le cerca con cura, perché scrivere è una responsabilità, una continua scelta tra cosa dire e cosa non dire. “Le parole sono importanti”, come diceva Nanni Moretti.
Mentre si presenta ci confida: «quando nasci e cresci in un paesino come Rolo, il tuo mondo è piccolo, i tuoi orizzonti sono ancora molto ristretti. Quando poi incominci ad andare al liceo e a prendere l’autobus tutte le mattine da sola, ti senti per la prima volta indipendente. Correggio sarà sempre il primo amore, la guardo con il sorriso e il cuore caldo. Inoltre, sono legata anche dai geni perché la famiglia di mia madre viene da lì. Quando ritorno, ogni strada, ogni piazza mi evocano aneddoti del liceo. Ritorno con la mente ad un tempo più semplice e spensierato. Ma ho fatto il liceo classico quindi a dirlo non mi crederebbe nessuno (ride)».
Nel 2015, a diciotto anni compiuti, Emilia scrive il suo primo libro “Le anatre di Holden sanno dove andare”, edito da Giunti. Al termine di un percorso liceale intenso, si trova di fronte alla fatidica scelta dell’università. Rivolgendo gli occhi al passato: «ero molto in difficoltà perché ho sempre voluto fare Lettere Moderne, ma con il passare del tempo ho cominciato ad avere dei dubbi. Quando hai diciotto anni mica lo sai che si può sempre cambiare, mica pensi che le cose non siano poi così tragiche. Da questi dubbi e paure è nato il romanzo, che tratta di una protagonista che vaga per la città senza sapere cosa fare di se stessa, cercando ovunque una risposta che le possa dare pace».
Sei anni dopo, a giugno 2021, Emilia torna a far parlare di se con il nuovo libro “Tutto fa curriculum”. Il primo di una serie di romanzi gialli-comici, le cui protagoniste sono due tirocinanti di venticinque anni. Emma svolge il tirocinio post-laurea all’Università facendo da assistente al suo insegnante, mentre Eleonora fa la pratica per diventare avvocato. Il capo di Emma non ricorda il suo nome, non la paga, le fa svolgere le mansioni più infime. Così a Emma resta una sola gioia nella vita, sputargli nel caffè ogni giorno. Quando il suo capo verrà avvelenato, proprio dal caffè in cui lei ha sputato, sarà costretta a indagare per discolparsi. Questo libro nasce da un insieme di esperienze vissute in prima persona e da racconti di amici. Prosegue: «lo spinoso tema dei tirocini è purtroppo poco affrontato, viene liquidato sempre molto in fretta perché, in un certo qual modo, è diventata una pratica “istituzionalizzata”. Ormai il fatto che i giovani debbano farsi anni di gavetta sottopagata e senza tutele è diventato normale nell’immaginario comune. Invece è necessario che si mostri a tutti com’è la situazione, le contraddizioni, i danni che procura».
Aggiunge: «Non posso parlare per tutti i giovani, non è mai corretto generalizzare, perché ognuno ha vissuto percorsi differenti, ma posso dare la mia opinione in qualità di laureata in materie umanistiche, dopo averne discusso a lungo con alcuni miei compagni di corso. L’insegnamento delle materie umanistiche all’università andrebbe riformato. Ci riempiono di conoscenze, ma ci lasciano completamente sguarniti dal punto di vista delle competenze. Ci formano il pensiero, ma una volta laureati non sappiamo fare niente di pratico».
Abbiamo vari esempi anche molto recenti di come i ragazzi possano fare la differenza quando si mettono insieme. Pensiamo a Greta Thunberg ad esempio, e alla sua instancabile lotta per un pianeta migliore. Emilia nei giovani crede ciecamente: «Siamo motivati, appassionati e creativi, quindi anche sul tema lavoro se riusciamo a unirci potremmo fare grandi cose e smuovere un po’ questa situazione che ci costringono a subire passivamente. Non possiamo aspettare che qualcun altro ci faccia passare, sarebbe bello, ma aspetteremmo troppo ed è un lusso che non possiamo permetterci. Credo che darci da fare sia la nostra più grande arma. Stupiremo gli adulti con la nostra competenza. E quando noi saremo dall’altra parte, spero ci ricorderemo e cambieremo le cose».
“I giovani di oggi non hanno voglia di lavorare”. Una frase che abbiamo sentito così tante volte.
Emilia in merito ha le idee molto chiare: «gli adulti accusano i giovani di essere scansafatiche, sono generalizzazioni sbagliate che rischiano di diventare dogmi. Conosco una miriade di giovani con grandi sogni, una forza di volontà incrollabile che li porta a lottare ogni giorno per raggiungere i propri obiettivi. Poi conosco anche qualcuno che invece non ha la spinta, ma se devo essere sincera sono in netta minoranza. Così come conosco adulti che danno grande fiducia alle nuove generazioni e conosco anche molti brontoloni pronti a dare colpe di tutto ai giovinastri. Il tema su cui interrogarsi è perché si sia diffusa così capillarmente la sentenza che i giovani non vogliono più faticare». Continua: «la mia generazione può anche essere cresciuta nel benessere, ma sicuramente non siamo stati addestrati a credere che quel benessere ce lo potremo portare dietro tutta la vita. Siamo cresciuti a pane e crisi economica. Fin da piccoli ci hanno detto che non avremmo potuto mai fare quello che volevamo nella vita perché non c’è lavoro e ci dovremo accontentare, quindi meglio non farsi troppe aspettative. Per questo vedere quanto ci impegniamo ogni giorno, quanto ci crediamo, nonostante tutto, dovrebbe essere sufficiente a far capire a tutti quanta forza invece abbiano i giovani».
Sicuramente quando è stato creato, il meccanismo del tirocinio doveva essere un percorso di transito che aiutasse i giovani a fare esperienza e ad entrare nel mondo del lavoro, ma come molte cose poi è degenerato. Ora non si tratta più solo di studenti o neolaureati: nel 2019 solo il 47% dei 355mila tirocini extracurriculari riguardava ragazzi sotto i 25 anni, un 36% ha coinvolto persone tra i 25 e i 34 anni e i 58mila restanti avevano più di 35 anni. Com’è possibile?
Ce lo spiega Emilia: «alle aziende conviene assumere stagisti perché possono essere pagati poco e possono essere intercambiati alla scadenza senza che nessuno dica nulla. Il tirocinante non ha tutele di alcun genere per essere tenuto dall’azienda, anzi non ha neppure ferie, malattia e non versa contributi. Se può essere un metodo valido durante gli studi per fare esperienza, sicuramente toglie tutta la dignità del lavoro se portato avanti per anni. Ma come fare diversamente? Come inserirsi in un mondo di aziende che non assumono perché hanno scoperto che grazie ai tirocini non ne hanno bisogno? Sono domande che pongo io a tutti voi: vorrei che trovassimo insieme delle risposte».