I desideri dei bambini son preziosi

Matteo De Benedittis, scrittore per l’infanzia

Matteo De Benedittis è professore di Italiano alle scuole secondarie superiori, è un papà, ha già scritto ben quattro libri per bambini pubblicati da importanti

editori come San Paolo, Gribaudo e Mondadori, suona il basso nei “Piunz” e oggi si racconta a Primo Piano.

 

Quando e perché hai iniziato a scrivere?
«Mi è piaciuto scrivere fin da quando ero bambino; mi ricordo estati lunghissime passate in montagna e lì, durante i momenti di noia, ho iniziato a scrivere. I miei genitori mi leggevano tante cose e, soprattutto quando sei piccolo, è normale cercare di copiare quello che ti piace. Già allora non mi ponevo il problema del foglio bianco, anzi, la carta mi è sempre sembrata piena di cose da cercare e da indagare. Alle medie ho vinto un concorso per un racconto giallo, durante l’università e i primi anni di lavoro ho scritto delle opere teatrali per il teatro della parrocchia. Poi, quando sono venuto ad abitare a Correggio, mi si è presentata l’occasione di scrivere libri per bambini (Dinotrappole, S.m.a.r.f.o., Le sei storie della rabbia, Le sei storie dei desideri e in autunno uscirà La cassapanca dei libri selvatici)».

 

Quali sono state le tue prime esperienze di lettura?
«Il momento prima di dormire è una tappa fondamentale della mia infanzia: per anni mio padre ha letto a me e a mio fratello delle storie che ascoltavo confusamente mentre prendevo sonno, ma riconosco questo momento come  cruciale per far nascere in me il forte desiderio per la lettura. Ero molto attratto dal Signore degli Anelli: lo vedevo nella libreria e ne ero affascinato, ma sentivo che era un libro troppo “grande” per me e che io ero ancora troppo “piccolo” per una lettura simile; intanto mi accontentavo di guardare incuriosito la mappa che ritraeva i luoghi del libro.

Per anni ho considerato “L’Isola Misteriosa” di Verne il mio libro preferito: un gruppo di naufraghi dal niente, su un’isola deserta, arriva perfino ad avere il telegrafo; mi sembra anche un bel parallelo con la figura dello scrittore, che dal nulla immagina, inventa e costruisce quello che non c’è».

 

Di quali autori, testi e personaggi non puoi più fare a meno?
«Amo gli autori che mi fanno pensare di non riuscire a fare altrettanto; questo vale per i grandi poeti ma anche per autori contemporanei, come George R. R. Martin della saga di “Game of Thrones”. Certamente un testo a me molto caro è la Divina Commedia. La insegno da quindici anni a scuola, al liceo, al professionale, alle scuole del carcere… e tutte le volte che la apro ha sempre qualcosa da dire.

Come personaggio al quale sono particolarmente affezionato è il protagonista di un fumetto, Dago, che mi piace particolarmente perché ha contemporaneamente le caratteristiche dell’eroe e dell’antieroe.

Inoltre vorrei ricordare il mio amico Marco Truzzi, di cui ho apprezzato tantissimo i libri».

 

Quale ruolo hanno avuto gli studenti nella stesura dei tuoi libri?
«Nell’unico libro che ho scritto per ragazzi, non ancora pubblicato, ci sono dei personaggi che riflettono i miei studenti, oppure che rappresentano “l’ agglomerato” di due o più studenti. I ragazzi sono un’ispirazione continua: un insegnante ha il grandissimo privilegio di essere a stretto contatto con il futuro: è come un ponte fra il passato, il presente e il futuro. I docenti di lettere e storia in particolare hanno l’argomento di insegnamento nel passato e hanno davanti a loro gli studenti, che sono il futuro, dovendo cercare di conciliare queste realtà».

 

Come la tua attività di scrittore influisce sulla didattica?
«Vorrei che influisse di più. Faccio molta fatica ad insegnare a scrivere: trovo sempre difficile correggere i temi dei miei studenti, perché la scrittura è una cosa talmente personale che è arduo e forse anche ingiusto voler cambiare ciò che uno scrive. Un aspetto che influisce molto sulla didattica non è tanto insegnare a scrivere quanto insegnare a leggere: spesso durante le ore di italiano si affronta in classe la parte manualistica e si dà per scontato il testo, io invece vorrei che i miei studenti facessero un “corpo a corpo” con l’opera imparandola a memoria, comprendendone le varie sfumature. Cerco di farli riflettere, chiedendo anche i loro pareri, sul perché un autore abbia scelto quella parola e non un’altra, perché abbia fatto fare al personaggio proprio quell’azione. Desidererei che tutto ciò li portasse ad avere un occhio critico verso ciò che leggono e ad instaurare con l’autore un rapporto personale».

 

Essendo uno Scrittore per te la parola è molto importante; c’è una parola alla quale sei particolarmente legato?
«La mia parola preferita è anima: ha un suono bellissimo, tante vocali e questa leggera simmetria tra la n e la m la rende particolarmente eufonica. È una di quelle parole che unisce al meglio il significante e il significato».

 

Di cosa parla il tuo ultimo libro “Le sei storie dei desideri”?
«Fa parte di una collana pubblicata da Gribaudo sotto Feltrinelli e parla dei desideri dei bambini. È stato particolarmente interessante capire quali fossero i desideri dei più piccoli e selezionare quali riportare nel libro, anche al fine di rinvigorirli: più desideri si hanno nella vita meglio è, ma allo stesso tempo è fondamentale realizzare quello che si ha già, diversamente si rischia di essere tutt’altro che felici. È la mia prima opera in versi e mi sono divertito molto, ma quando si scrive in poesia ogni singola parola è maggiormente soppesata: devi scrivere parole che “suonino” bene e che abbiano l’accento giusto».

 

Come mai hai scelto di scrivere proprio per i bambini?
«Quando mi sono trasferito a Correggio ho fatto leggere un mio racconto a Benedetta Bonfiglioli, che ringrazio infinitamente perché senza di lei tutto questo non sarebbe mai accaduto; fu lei ad indirizzarmi verso una casa editrice per bambini. Non avevo nei miei programmi di scrivere per l’infanzia, se avessi potuto scegliere avrei scritto per ragazzi, ma mi si è presentata l’occasione e l’ho colta. Scrivere per bambini è stata una sorpresa: pensavo che sarebbe stato facile, ma non lo è, anche perché sono da escludere tutte le tematiche che riguardano l’amore e la morte, e scrivere senza poter utilizzare questi due argomenti è molto difficile».

 

Tu hai parlato della tua vocazione di insegnante. L’insegnante dovrebbe lasciare un segno, così come lo scrittore. Che impressione ti fa sapere che entri nell’intimità e nella routine di un bambino, lasciando in lui e nei suoi ricordi un “segno”?
«Quando insegni, avendo gli studenti di fronte, più o meno hai un riscontro del tuo operato. Il mestiere dello scrittore invece è un po’ come lanciare una bottiglia in mare con dentro un messaggio: cerchi di fare il tuo meglio, ma la risposta non ti arriva praticamente mai. La cosa più bella è quando ho l’occasione di incontrare gli studenti: in questi anni mi è capitato di andare nelle biblioteche e nelle scuole e allora è lì che intuisci che i lettori hanno capito il libro meglio di te».

 

Che progetti hai per il futuro?
«Per Edizioni San Paolo uscirà in autunno “La cassapanca di libri selvatici”, un libro di avventura per i bambini delle elementari, e spero che “L’ultima riga non si legge”, un romanzo per ragazzi, trovi chi voglia pubblicarlo. Ho scritto molto intensamente negli ultimi quattro anni e questa sarà la prima estate che non passerò a scrivere. Adesso sento il bisogno di raccogliere le idee».

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