Il dottor Nemesio Gherpelli, classe 1951, conosciutissimo e stimato medico di Medicina Generale, lascia l’attività per il raggiungimento dell’età pensionabile. Negli ultimi 10 anni ha assommato, all’attività di medico di Medicina Generale, prima il ruolo di Coordinatore di Nucleo e infine quelli di Direttore e negli ultimi anni di referente del Dipartimento Cure Primarie del Distretto di Correggio. Prossimo alla pensione, ha ancora molte buone intuizioni per l’avvenire della medicina territoriale che, speriamo, possano essere raccolte dalle future generazioni di medici e dall’azienda USL.
Progetti per il futuro? Ancora tanti: la passione per il tennis, l’avvio del progetto “Bosco dei saggi” a Marola, che avrà l’obiettivo di riqualificare e valorizzare il castagneto matildico incarnando lo spirito dell’enciclica papale “Laudato sì”, prestando particolare attenzione alle persone fragili, perché tutti possano trovare uno spazio di accoglienza e crescita, la disponibilità ad affiancare e supportare i medici più giovani o comunque a mettere a frutto l’esperienza di medico generico per fasce di popolazione più fragili. In particolare questi ultimi due progetti testimoniano la volontà di continuare a lavorare per gli altri e per la comunità.
Nato a Prato di Correggio, a 11 anni è entrato in seminario dove, dopo il liceo classico, ha frequentato un anno di teologia, prima dell’iscrizione alla facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Modena. Sposato con Erica nel 1981, con la quale ha avuto tre figli ormai adulti: Mirco, Andrea e Davide. Ed è proprio alla moglie Erica che il dottor Gherpelli esprime un ringraziamento particolare per il supporto negli anni universitari ed in quelli successivi, nonostante le fatiche e le difficoltà incontrate.
«La scelta di diventare medico è nata dall’esempio: ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere tanti bravi medici (in particolare il dottor Alberti sul territorio e il professor Curci presso il Policlinico di Modena) ed ho pensato che potesse essere il lavoro adatto a me. La preparazione è stata lunga e faticosa. Durante gli anni trascorsi al Policlinico di Modena nel reparto di Ematologia (il dottor Gherpelli è anche specializzato in Ematologia, ndr) ho incontrato tanti pazienti e tante storie, di tanti ricordo ancora nomi e circostanze della cura. Ero giovane e un giorno stavo accompagnando un signore anziano a fare una radiografia particolare, quando il tecnico di laboratorio si rivolse a me pensando che fossi il figlio. Questo episodio, seppur banale, mi fece cogliere l’attitudine e la propensione verso l’altro e verso i pazienti, prima di tutto come persone».
«Oggi mi sento come il protagonista di “Schindler’s List” nella scena finale del film, quando dice “Ne avrei potuti salvare molti di più…”. Non sono stato impeccabile, il senso di inadeguatezza in certi momenti mi ha pesato. A volte mi sono trovato impreparato ad un intervento tempestivo. Così pure, semmai questo è ancora più doloroso, talvolta non sono riuscito a intercettare un bisogno umano di supporto. Posso però affermare che non ho trascurato nulla di cui ero consapevole. Proprio grazie all’esperienza di vita professionale ho maturato l’importanza di alcuni aspetti che mi sembrano inalienabili dalla pratica della medicina generale o territoriale: l’importanza del territorio appunto, la necessità di percorsi collettivi, dell’integrazione con le altre figure professionali, dagli specialisti ambulatoriali a quelli ospedalieri all’igiene pubblica, al servizio psichiatrico territoriale, ecc.
Il medico di Medicina Generale è una sentinella importantissima anche per la tenuta sociale, è l’unico che può conoscere e valutare l’impatto della malattia, in particolare della cronicità, nel contesto di vita del paziente. É un ponte, un crocevia fondamentale. Molto è stato fatto e costruito in questi anni. Una volta il medico condotto faceva tutto, mentre oggi la società è troppo complessa e l’integrazione diventa fondamentale. Pertanto bisogna continuare a lavorare in questa direzione, favorendo l’integrazione tra medici e con le altre professionalità: infermieri, assistenti sociali, psicologi; creare punti di accesso unico ai servizi ecc…
Nel territorio di Correggio, anche grazie ai ruoli di Coordinatore di Nucleo e di Referente delle Cure Primarie, ho potuto costruire una buona relazione con i colleghi e con diversi settori coinvolti nella medicina territoriale.
Ai miei colleghi, che rimangono sul campo in un lavoro così importante e di sacrificio soprattutto in questi ultimi mesi, vorrei rivolgermi in modo particolare. Ho amato questo nostro lavoro, che mi ha permesso di entrare a contatto e in modo vero con le persone nel loro contesto di vita. Infatti la conoscenza dell’ambiente familiare e sociale dei nostri assistiti non è indifferente nel finalizzare i nostri interventi. Per questo la capillarizzazione della medicina territoriale è un bene prezioso, che arricchisce di un contenuto umano in maniera reciproca sia l’assistito che il medico che lo cura. Non so se dopo la nostra generazione cambierà la struttura della medicina territoriale. Una cosa è certa: non esiste nella sanità un ruolo come quello del medico di Medicina Generale, che permetta una conoscenza ampia e profonda sull’andamento e sull’evoluzione delle malattie croniche e sulla prevenzione precoce di molte patologie. La nostra professione va valorizzata e supportata e occorre mantenere ciò che di buono è già presente nell’attuale assetto organizzativo.
Ai giovani medici consiglio di tenere a mente e a cuore l’uomo, prima del paziente, di cercare di entrare in relazione con i propri assistiti, di capirli, di capire il loro modo di pensare e di esprimere la sofferenza ed il disagio, di non giudicare e di avere un occhio di riguardo per i pazienti più difficili, di considerare anche le richieste improprie e pesanti come un privilegio: il privilegio di essere per queste persone punto di riferimento.
Un ringraziamento particolare va alla mia segretaria, Catia: ha saputo gestire l’ambulatorio con grande professionalità, dedizione e attenzione. Grazie al suo prezioso aiuto ho potuto dedicarmi meglio e con più soddisfazione al mio lavoro. Auguro di cuore buon lavoro a chi resta!».