Avete mai visto Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens?
È un famoso film del 1953, con Alan Ladd che interpreta Shane, eroe intrepido che libererà gli oppressi coloni di un West ancora selvaggio dalla prepotenza dei ricchi allevatori Ryker.
L’eroe è arrivato da non si sa dove, viaggia da e verso generici punti cardinali e non può fermarsi in nessun posto perché ognuno, dice, vale l’altro: un modello in cui la generazione di allora, all’ingresso degli anni Sessanta, si identificava.
Tutto qui?
Perché, allora, se l’eroe è quello che ho descritto, allunga il collo per guardare da dietro le grazie di Mary, la moglie del colono Joe Starrett, girata di spalle e china per impiattare la torta?
La lettura del film cambia. Così quando Shane e Joe sono inquadrati a lavorare con l’ascia per spaccare un ceppo la scena assume il significato di una gara di virilità, il montaggio nel campo-controcampo mostra i colpi che vengono inferti e i due personaggi sono inquadrati con il cielo alle spalle, eroi entrambi.
Alla fine della scena Mary guarda i due uomini, sembra essere in palio tra i due. Il ceppo viene finalmente abbattuto dai due con la spinta delle braccia; Shane finisce per accasciarvisi sopra come se lo possedesse, mentre Joe si sposta verso la moglie come per riprendersela. La pace familiare sembra ristabilita, ma l’eroe l’ha messa a repentaglio.
Questa lettura traccia la vicenda di un film sotterraneo, di un testo nascosto in mezzo a quello principale del classico western eroico, con il bene e il male che giungono allo scontro finale. Il film sotterraneo giunge a conclusione con il commiato tra Shane e Mary, che all’apparenza avviene con una semplice stretta di mano, ma che in realtà nasconde un bacio, quello che Shane porge attraverso l’ombra della sua figura che va a coprire le labbra di Mary.
Non ci avevo mai fatto caso, avevo sempre letto il film come un’epopea del western classico.
L’ho capito domenica 8 novembre, durante l’incontro organizzato dal circolo Cinecomio, presso il Cine+ di Correggio, e condotto dall’amico Bruno Fornara, che ha mostrato una serie di questi “attimi sfuggenti” nel cinema, che importano una diversa o, meglio, aggiuntiva lettura che il film offre.
Bruno Fornara è critico cinematografico, autore di “Geografia del cinema”, manuale sulle tecniche della messinscena nel cinema, insegnante presso il corso di story telling (narrazione) della scuola Holden di Torino, selezionatore presso la mostra del cinema di Venezia, curatore di una brillante pagina Facebook in cui, tra l’altro, ogni primo del mese dà conto degli infausti provini a cui partecipa.
Cura, infine, da molti anni, incontri sul cinema ai quali amo partecipare da appassionato di cinema, per godere della meraviglia e della complessità che il linguaggio cinematografico è in grado di dare.
La complessità del cinema continua a resistere alla povertà del linguaggio televisivo, che pure si è insinuata anche in una larga parte di prodotti formalmente cinematografici, quella del campo-controcampo, dell’“ora esco”, (controcampo), “ah si, esci?”, (controcampo), “si esco”, (controcampo), “bene, esci”, (controcampo), “sì sì, esco”, (controcampo), “ma perché esci?”…
Schermo nero, sigla; alla prossima puntata, ore 13.40, canale 5.