La moda non è frivolezza, parola di stilista

Giulia Marani, direttrice creativa di Marex

Visito la Marex una sera d’autunno, quando tutti sono già andati a casa e l’azienda è immersa in un’immobilismo insolito e magico.

Chi mi guida è una cara amica di sempre: Giulia Marani, figlia maggiore di Angelo, che ha raccolto il testimone del papà alla direzione creativa dell’azienda di famiglia. Durante la visita mi rendo conto del tesoro nascosto dentro a queste mura: una piccola realtà che nasconde un concentrato di artigianalità e tecnologia, rispetto del passato ed esperimenti creativi. Passo attraverso una stamperia con tavoli lunghi come campi da calcio, un laboratorio chimico in cui si creano ad hoc i colori, una lavanderia, una stireria e macchinari di ultima generazione per la stampa digitale. Poi saliamo le scale e mi si presenta davanti il paradiso: l’archivio del vintage. Uno spazio enorme che racchiude non solo le creazioni Marex degli anni passati, ma anche capi acquistati in giro per il mondo. Un luogo di riflessione e ispirazione creativa, il primo incarico di Giulia in Marex.

«Appena arrivata dall’Università, mio padre mi ha detto di risistemare l’archivio» mi dice Giulia, orgogliosissima di ciò che mi mostra «e io ho dovuto trovare un senso logico a tutto quel materiale, decidere il criterio di classificazione e metterlo in pratica».

Tornando al piano terra mi informa che c’è anche un depuratore per purificare l’acqua utilizzata per la stampa, attraverso speciali batteri che “mangiano” le particelle di colore, così l’acqua riciclata viene reimmessa nel ciclo produttivo. Un’innovazione ecologica fortemente voluta da Angelo Marani in tempi in cui l’attenzione all’ecologia non era in primo piano. Questo significa, spiega Giulia, «utilizzare esclusivamente coloranti ad acqua e quindi limitare le possibilità di ricerca e sperimentazione stilistica, poiché occorre escludere a priori tutti i coloranti a solvente che ucciderebbero i batteri del depuratore. Ma è uno sforzo necessario per portare avanti la nostra idea di azienda sostenibile: è inutile lanciare un tessuto ecologico per una collezione e utilizzarlo come pubblicità, se poi i processi produttivi sono inquinanti».

Passeggiando tra questi corridoi è immediato comprendere l’attaccamento a queste stanze e alle persone che lavorano qui, di cui Giulia conosce tutti i nomi («ma certo!» esclama, meravigliata del mio stupore). In fondo Giulia e la sorella Martina sono praticamente nate alla Marex: «quando eravamo piccole e tornavamo dalla Cantona, il pulmino della scuola non ci portava a casa, ma qui: noi due gironzolavamo indisturbate tra le scrivanie ed era tutto un “cosa stai facendo? e dopo cosa fai? perché?” a quelli che lavoravano qui e che, nel caso di molti, ancora oggi siedono alla stessa scrivania». L’impressione è che la Marex sia una grande famiglia allargata, fatta soprattutto di donne a cui si unisce una proprietà tutta al femminile: è infatti guidata da Anita Lini, madre della nostra Giulia, l’art director, e di Martina, che si occupa dell’amministrazione e del controllo di gestione.

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