Gildaldo Medardo Bassi, detto anche Paolo, nacque il 1º maggio 1852 a Mandrio di Correggio da Domenico e Agata Brunetti. Poco si sa della sua formazione scolastica, ma a giudicare da come scriveva e dall’impegno per diffondere la lettura, se ne carpisce un buon livello di istruzione e cultura. Maturò ben presto idee progressiste, simpatizzando per il movimento anarchico prima di passare, da attivista, al socialismo. Per questa sua ideologia subì arresti e persecuzioni che lo costrinsero ad espatriare più volte. Appena ventenne, dal 1874 al 1878 fu costretto a riparare in Sud America, dove pare abbia appreso l’innovativa arte della fotografia, poiché sui biglietti da visita si pubblicizzava come “Gildaldo Bassi, fotografo di Correggio tornato dall’America”.
Bassi iniziò come artigiano ambulante, servendosi di uno studio mobile: un vagone ligneo a traino equino, sulla cui fiancata campeggiava la scritta “Fotografia viaggiante”, grazie al quale portava la fotografia di borgo in borgo. Poi aprì uno studio a Correggio e un secondo a Reggio, mantenendoli in funzione entrambi per qualche anno.
All’inizio degli anni ottanta dell’ottocento acquistò il palazzo d’angolo tra via Jesi e piazza Garibaldi, che anticamente aveva ospitato la Zecca di Correggio, per farne abitazione e studio. Per sfruttare al meglio la luce naturale, impiantò nella mansarda il laboratorio fotografico, preceduto da un salotto d’aspetto per i clienti, che divenne anche luogo di cultura (vi costituì una piccola biblioteca su prestito con testi “indesiderati alla borghesia”) e di propaganda politica. Con altri compagni di ideologia vi redasse il primo giornale dei socialisti correggesi: “La Fiaccola”. Perseguitato per il suo attivismo, intorno al 1890 chiuse l’atelier di Correggio, poi cedette quello avviatissimo di Reggio. Passò i suoi ultimi anni quasi sempre lontano da Correggio, dove ritornò alcuni mesi prima della morte avvenuta il 19 marzo 1932, a quasi ottant’anni.
Il suo studio fotografico venne rilevato dal suo allievo e garzone Ettore Tamagnini, che lo tenne in funzione fino al 1950.
Negli anni fra il settantotto e il novanta realizzò molti ritratti, fotografò scolaresche, chiese, edifici rurali, manifestazioni politiche, comizi, inaugurazioni di cooperative e altro. Della sua produzione sterminata si conoscono oggi circa 200 immagini (spesso d’incerta datazione e con persone non più note), ma ciò non significa che tutto il resto sia andato perduto; più semplicemente è assai probabile che altro materiale sia dimenticato da qualche parte, o che gli attuali possessori non sappiano che sia opera sua. Fra i suoi lavori più famosi e apprezzati vi è la serie di vedute di Correggio: 41 fotografie scattate nel 1879-1880, poi vendute al Comune. Si tratta di un vero e proprio reportage per immagini nelle vie del centro storico, con scorci di vita quotidiana fra edifici poi scomparsi (le mura, le porte, la Rocchetta…). Fotografie realizzate con lastre di vetro, verosimilmente con la tecnica del collodio umido, poi stampate per contatto e autografate una a una sul fronte “G. Bassi Fot. Correggio”, spesso in punti originali come l’ombra di un albero, il voltone di un portale, un mucchio di paglia.
Un po’ di storia sulla Zecca
Il 17 maggio 1559 l’imperatore Ferdinando I concesse a Girolamo da Correggio e ai cugini Giberto, Camillo e Fabrizio e loro discendenti, l’Investitura della Contea di Correggio con facoltà di battere monete (Zecca). La Zecca cominciò a essere funzionante dal 4 giugno (giorno di san Quirino) 1569, ma i controlli inefficaci da parte dei Signori da Correggio favorirono gli abusi e le falsificazioni da parte degli zecchieri. L’Imperatore richiamò all’osservanza delle regole l’ultimo principe Giovanni Siro, che sottovalutò la denuncia e non vi pose rimedio. Accusato allora di falsificazione della moneta, fu processato e condannato al pagamento di una multa di 230.000 fiorini. Sprovvisto di tale cifra, fu privato di tutti i suoi beni e del feudo che la sua famiglia deteneva da quasi otto secoli. Così Correggio, che dal 1616 era stata elevata da Contea a Principato, perse la sua antica Signoria e fu venduta al Duca d’Este di Modena.
La Zecca si collocò dapprima nella grotta del Palazzo dei Conti, poi in altri luoghi fra cui la casa dei Calcagni che verosimilmente era il palazzo nell’angolo fra via Jesi e piazza Garibaldi, chiamato oggi “La Zecca”.