«Se avessi avuto dieci centimetri in più di gambe…» soleva dire Genosse Tirelli scherzosamente alla figlia Liviana Iotti, alludendo alla bellezza che l’aveva caratterizzata in gioventù, oltre che alla sua bassa statura. Liviana, giornalista di Telereggio e parte della Redazione del nostro giornale, mi ha aperto la sua casa e il suo album dei ricordi per condividere con me i momenti salienti della vita di sua madre, personaggio dal carattere determinato e poliedrico, scomparsa all’età di 96 anni.
Era nata nel 1919 a Prato, figlia di Livio Tirelli, uno dei primi Consiglieri comunali socialisti nella nostra città. Livio era sarto, professione che svolgeva in casa e che gli lasciava diverso tempo libero, che lui impiegò per formarsi una sua cultura, fortemente modellata sui valori del socialismo di Camillo Prampolini. La passione del padre per la visione prampoliniana, grande teorico della cooperazione, era testimoniata non solo dal pizzetto che sfoggiava nelle fotografie, ma anche dai nomi piuttosto singolari che diede ai figli che nacquero dall’unione con Rosina, che proveniva da una famiglia di agricoltori. I nomi della prole erano, nell’ordine, Genosse (da pronunciarsi Ghenosse, che significa compagna), Atea (la quale, ironia della sorte, fu una pia donna e che si fece chiamare Ada), Ideanuova, Lombroso (dal nome del noto scienziato positivista e socialista) e Goliardo.
Genosse frequentò solamente cinque anni di scuola, imparò l’arte sartoriale dal padre e successivamente venne inviata, come spesso succedeva, come balia presso la famiglia del fratello Goliardo, che lavorava come casaro a Lemizzone. Il mestiere di Goliardo e della moglie era faticoso e portava via molto tempo, così che per Vanni e Normanna Tirelli, suoi nipoti, Genosse fu come una seconda madre. La passione politica del padre la fece automaticamente aderire alla resistenza, alla quale partecipò in qualità di staffetta, nonostante rimangano poche tracce della sua attività negli archivi dell’Anpi. Avendo un carattere forte, non fu facile per lei incasellarsi nelle gerarchie dell’epoca.
Nel dopoguerra Genosse sposò Mario Iotti, noto in paese perché padrone della storica bottega da barbiere che ancora oggi si trova in corso Mazzini, verso porta Reggio. Fu un matrimonio tardivo per l’epoca, perché Mario era stato prigioniero in Libia e in Inghilterra. Da donna intraprendente e orgogliosa quale era, non volle rimanere con le mani in mano (si fa per dire, considerando che ebbe due figli, Liviana e Marzio, ex sindaco di Correggio). Infatti per raggranellare un po’ di lire Genosse cominciò un’attività nella sua casa di via Borgovecchio, confezionando splendide trapunte, richiestissime dalle signore dell’epoca. Proprio per questa sua attività ebbe la possibilità di entrare in contatto con un mondo di eleganza e di ricchezza che la attraeva moltissimo, lei che aveva sempre avuto uno spiccato senso artistico. Per molti anni, ad esempio, comprò mobili che poi restaurava; fu lei a volere e a progettare la casa in cui la famiglia si trasferì. Genosse inoltre non solo era una raffinata confezionatrice di tende e trapunte, ma anche una pittrice. Autodidatta, se ne andava in giro con il suo cavalletto e dipingeva perlopiù paesaggi naturali in uno stile disciplinato, un po’ naïf. Campagne, chiese di frazione, il centro storico, il Convitto… nei quadri che ancora oggi ornano le pareti della sua casa si osservano scorci di una Correggio che forse non è più identica, ma che certamente è assai riconoscibile. Una delle foto più significative la ritrae in occasione della fiera di San Quirino, nel 1981, e la vede in posa con il mento alzato e atteggiamento orgoglioso di fianco ai suoi quadri esposti in mostra.