Formarsi alla scuola di politiche, per passione

A Roma si impara ad essere cittadini europei

Un anno fa cominciavo la mia esperienza alla Scuola di Politiche fondata da Enrico Letta.

La lectio inauguralis si è tenuta presso lo Spazio Europa di Roma, un luogo altamente simbolico; ma davvero non sapevo cosa aspettarmi.
Avevo mandato la mia domanda di ammissione, avevo girato amatorialmente un video in cui spiegavo le motivazioni che mi spingevano a partecipare, ero stato tra i 100 selezionati, ma non ero a conoscenza di molto di più.

Qualche mese prima avevo letto un articolo sul Corriere della Sera che presentava la scuola stessa, in cui mi colpì la frase “astenersi carrieristi”.
In fondo quella era la mia idea di politica: una passione, che può diventare una professione in un periodo della nostra vita, ma che non deve sfociare in una carriera.
Questo non vuol dire che ci si può improvvisare politici, altrimenti non avrebbero senso scuole di formazione come quella a cui ho partecipato.

In quella lectio inauguralis Letta ce lo spiegò benissimo.
È necessario avere una propria professionalità al di fuori della politica per mantenere indipendenza e libertà di pensiero.
Questo perché quando si vive solo di politica, non si può correre il rischio di essere messi da parte o di perdere popolarità tra gli elettori.
Di conseguenza si adegua docilmente il proprio pensiero a quello del partito, a quello del leader o alla moda del momento.

Rimasi colpito dall’ambiente molto eterogeneo.
Tra gli studenti c’era chi studiava giurisprudenza o scienze politiche, ma anche chi studiava medicina, ingegneria o fisica.
C’era chi si riconosceva nei valori social-democratici, chi in quelli liberali, chi votava questo o quel partito e chi era molto scettico verso gli schemi tradizionali.
In effetti non ci trovavamo in una scuola di Politica bensì di Politiche.
Inizialmente mi aveva molto incuriosito questa particolarità nel nome.
Ma il “primo giorno di scuola” capii che non si trattava di una particolarità, quanto di un elemento fondante.

Questa distinzione molto cara a Nino Andreatta, a cui è dedicata la Scuola, è presente nell’inglese.
La politica (politics) è la scienza e l’arte di governare. All’interno della politica rientrano quasi tutte le notizie che ascoltiamo nei telegiornali, come per esempio le dinamiche di un partito. Per politiche (policies), invece si intende l’attività svolta per il governo di uno Stato, l’insieme dei provvedimenti per raggiungere determinati fini: “i contenuti, cioè, che danno senso effettivo alla politica”. Si capisce dunque che l’interesse della scuola non era approfondire la complicata politica italiana o internazionale, quanto le politiche pubbliche che sono state applicate e che potrebbero essere applicate.
Poi lo ammetto, tra noi studenti, spesso si chiacchierava delle correnti del Partito Democratico, delle problematiche della destra italiana, o delle vicende del Movimento 5 Stelle, ma durante le lezioni non sono mai state fatte dichiarazioni fuori posto, né propaganda pro o contro qualcuno.
Ci siamo sempre confrontati nel merito dei problemi rispettando tutte le opinioni con un’elasticità tale da permetterci anche di cambiare idea o di far cambiare idea.

Ogni mese ci recavamo a Roma per le nostre lezioni.
Abbiamo visitato le sedi delle istituzioni e alcuni luoghi simbolo della cultura italiana come la sede della Treccani, ma soprattutto abbiamo conosciuto dei docenti straordinari. Ognuno di loro ci ha permesso di vedere i problemi di una realtà poliedrica dai diversi punti di vista: dialogavamo con personalità come Emma Bonino (che era garante della scuola, nonostante un passato politico quasi discorde da quello di Enrico Letta), Maria Chiara Carrozza, Giuseppe Laterza e Lucio Caracciolo, Alessandro Pansa, Maurizio Viroli, Guido Melis, Marc Lazar e tanti altri ancora. Ogni volta le lezioni erano dedicate a temi importantissimi, dall’economia alla politica estera, ma centrale è stata l’Unione Europea.
A nessuno di noi piace l’UE come è oggi, risultato di un processo incompiuto e in parte sbagliato di integrazione. Ma dobbiamo pensare a come trasformare l’UE in una “casa comune” per tutti noi. Proprio durante i giorni del voto sulla Brexit, noi eravamo a Bruxelles per quattro giorni di lezione e abbiamo riflettuto molto sulla direzione che sta prendendo l’Unione Europea, e su dove vorremmo che invece andasse.

Eravamo poi continuamente stimolati a leggere articoli e libri; la scuola ha creato un blog in cui potevamo esprimere le nostre opinioni e durante l’estate ci siamo concentrati su progetti riguardanti le elezioni americane e la scrittura di politiche.

Non è stato un corso universitario: l’obiettivo era permettere a chi frequenta l’università, di partecipare (e gratuitamente). La scuola mi ha dato un approccio pratico alla politica, permettendomi di comprendere quanti e quali sono i temi di cui oggi si discute, e fornendomi gli strumenti e la capacità di approfondire quelli che mi interessano di più. Mi ha permesso di discutere con alcuni tra i massimi esperti in Italia di politiche pubbliche e mi ha dato la possibilità di conoscere altri ragazzi della mia età che ancora pensano che la politica, oggi vista più come causa dei problemi piuttosto che possibile soluzione, sia una cosa bella.
Quello che mi ha fatto crescere è stato parlare con ciascuno di loro, straordinari nella loro unicità di personalità e di background.

La tendenza oggi è che “i bravi non vogliono fare politica”, mi diceva qualcuno; ecco, penso che Scuola di Politiche possa proprio smentirlo.

 

Per chi fosse interessato a conoscere meglio la Scuola di Politiche
www.scuoladipolitiche.eu

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