La scuola è tornata in presenza. E se solo fino a qualche mese fa questa frase sarebbe suonata come una grande ovvietà, quest’anno ha il sapore delle grandi conquiste. Stavolta, tornare a scuola significa davvero “tornare a scuola”, in modo letterale. Per uno studente, significa riprendere le proprie abitudini, sentirsi fisicamente parte di un contesto, riprendere i tempi e gli spazi che gli appartengono. Dopo quasi due anni passati tra gli schermi della didattica a distanza e l’incertezza dell’aula, finalmente bambini e ragazzi hanno potuto fare ritorno nelle loro classi, questa volta con la prospettiva – ce lo auguriamo – che la scuola non debba chiudere più. Certo, è ancora presto per cantare vittoria, ma bisogna tenere a mente che la ripartenza della didattica in presenza era tutt’altro che scontata, e che questo è il frutto dello sforzo che tutta la cittadinanza sta compiendo, in modo particolare con la campagna vaccinale. Passo dopo passo, stiamo ridando forma al mondo. E il mondo del futuro cresce sui banchi di oggi.
Leonardo Lazzaretti frequenta la classe quinta all’Istituto Einaudi. Lo incontriamo all’uscita da scuola assieme all’amico Lal Naresh. I due sorridono, parlano dei primi giorni di scuola appena conclusi e ci confessano che tornare in classe non è affatto male. «Dopo diversi mesi di didattica a distanza, è stato bello tornare e rivedere fisicamente i miei amici», spiega Leonardo, «Tutto questo ti completa. Da casa non è la stessa cosa: sì, sei insieme a loro, ma è diverso. Questo vale anche per i professori: averli davanti a te è tutta un’altra cosa, e anche loro sono contenti di questa situazione, ci aiutano e ci incoraggiano a tenere sempre a mente le norme da rispettare». I due sono ai primissimi giorni del loro quinto anno di superiori. Questo periodo di pandemia li ha catapultati dalla metà del percorso fino a ormai pochi passi dalla fine; giusto qualche mese e poi ci sarà l’esame di maturità e il futuro. «I primi anni eravamo in presenza e si imparava bene», afferma Lal, «poi abbiamo conosciuto la Dad (Didattica a distanza, ndr) ed è stato un cambiamento radicale. Imparando da casa rischi di distrarti molto di più, mentre in classe c’è più tranquillità, è tutto più spontaneo e riesci a capirti meglio. Con i compagni si chiacchiera duranti i cambi d’ora e con gli insegnanti c’è più collaborazione. Penso comunque che ad aver sofferto di più per questo periodo siano stati quelli più piccoli di noi, che possono avere meno esperienza con le tecnologie o anche solo meno confidenza nel parlare con un professore».
Le parole chiave sono quelle: vicinanza, contatto umano, naturalezza. Le ritroviamo anche nel racconto di Giulia Sofia Benati, all’ultimo anno del Liceo Corso, che confessa: «Quest’anno sono tornata a scuola proprio felice. Sono contenta perché dopo due anni in cui non ho potuto avere contatto con persone così importanti come i miei compagni di classe, adesso posso passare l’ultimo anno assieme a loro. Mi sembra anche di notare che tutti in classe siamo più attivi quando siamo in presenza. In didattica a distanza, gli interventi dei ragazzi sono sempre pochi, anche solo accendere il microfono per chiedere qualcosa risulta molto più faticoso che fare una domanda dal vivo. In classe siamo più spontanei, e questo crea anche un bel clima con i professori. Ho buone speranze che, portando un po’ di pazienza oggi e rispettando tutte le norme, potremo andare verso un futuro più luminoso». E un futuro più luminoso ci stanno aiutando a costruirlo proprio i ragazzi e gli studenti, che si sono vaccinati a tempo record non appena è stato loro possibile. Le statistiche dimostrano che sono ben altre le fasce d’età in cui la campagna vaccinale ha rallentato, in barba al solito identikit del giovane svogliato e festaiolo. Fa tirare un gran sospiro di sollievo che tra i più giovani ci sia fiducia nella scienza, nella medicina. Fa sospirare per altri versi che ad essere contro i vaccini siano spesso persone tra quelle che dovrebbero educare i nostri giovani, che dovrebbero dar loro l’esempio. Il prototipo del No-Vax non ha sicuramente quindici anni. E questa è una gran fortuna per il nostro futuro.
Per quanto non esistano dati ufficiali, complice il doveroso rispetto della privacy, Giulia afferma che nella sua classe siano tutti vaccinati, dal primo all’ultimo. Anche nella classe di Lal i vaccinati sono la maggior parte, almeno l’80%, secondo i suoi calcoli. «Sempre più persone tendono a vaccinarsi» spiega, «specialmente ora che il vaccino è in circolazione da un po’. Anche chi all’inizio era più incerto e aveva qualche dubbio, dopo averne parlato tanto con gli amici e aver chiesto agli altri di raccontare le loro esperienze, ha deciso di vaccinarsi». Un altro argomento “caldo” per quanto riguarda la scuola è quello dei trasporti: quanto sono affollate le corriere? Leonardo, che viene da Fabbrico, usa i mezzi tutti i giorni. «La corriera è usata da sempre più ragazzi», ci racconta, «e specialmente in questi primi giorni il sovraffollamento è stato pazzesco. Alla fermata si vedono centinaia di persone accalcate per salire sulla prima corriera, perché tutti vogliono prendere sempre la prima che passa. Spero che con il passare dei giorni la situazione migliori. Fortunatamente, gli autisti contano quante persone salgono, e rispettano in modo preciso il numero massimo. E se qualcuno prova a salire con la mascherina abbassata, viene subito fatto scendere. Certo, succede anche che qualcuno, una volta arrivato al posto, si abbassi la mascherina. Ma fortunatamente accade davvero di rado».
Quello dei trasporti rimarrà un punto critico per il buon funzionamento della scuola. Ora che i ragazzi si sono vaccinati e si sono affidati alle norme, quello deve essere un elemento su cui investire. Dentro alla scuola intanto, le loro vita possono finalmente riprendere, anche se, di fatto, non si sono mai fermate. «Questa pandemia mi ha molto cambiata», conclude Giulia: «sono sempre stata una persona ansiosa, e questi mesi mi hanno insegnato che le cose di cui mi preoccupavo non erano poi così rilevanti in confronto alla pandemia. Sento di avere uno spirito diverso con cui mi approccio alle cose, riesco a dar loro il giusto peso». Mentre si decideva sulle distanze dai banchi e quelle dagli schermi, questi ragazzi hanno continuato a vivere, hanno trovato modi di adattarsi alla realtà che cambieranno le loro vite. I giovani hanno continuato a studiare, ad iscriversi all’università, a cercare il contatto coi loro coetanei. La loro parte la stanno facendo, per il nostro presente, e per il loro futuro. Tocca a tutti noi continuare a lavorare per dar loro il futuro che si meritano.