A volte il nome di battesimo fa brutti scherzi. Casi della vita.
«Non è stato così per mio padre Fausto.
Di giorni infausti ne ha passati un bel po’; ma si può dire che è stato, nel complesso della sua vita, fortunato» commenta Laura.
Parliamo di Fausto Radeghieri, che ha lasciato per sempre la sua casa in via Zanichelli nell’aprile scorso, a 95 anni d’età.
Già lo stato di forma, fisica e mentale, quasi perfetta con cui è arrivato al traguardo finale è stato un bel dono.
Poi un altro: la stima di conoscenti e amici e il grande affetto famigliare che ha sempre sentito su di sé.
Intendiamoci. Fausto ci ha messo del suo: rettitudine morale, generosità, dedizione al lavoro, casa e famiglia sempre al centro della sua attenzione.
Anche la dea bendata, allora, si è inchinata al merito. Fausto Radeghieri era l’ottavo di dodici tra sorelle e fratelli ed è stato l’ultimo di loro ad andarsene.
Assieme a lui merita un giusto ricordo questa grande famiglia, una tribù di quelle di una volta, con il suo bravo scutmai: i Rabitein di Mandrio.
Ida e Artemio, i genitori dei dodici, erano mezzadri e lavoravano sodo tutto il giorno. La notte pure. Feconda la terra, fecondo il talamo. Dal 1910 al 1929 quattro femmine e otto maschi, quasi un parto all’anno. Non c’erano la tv, il web e la pillola. I figli erano una benedizione. C’era però la mezzadria, con le sue crudeltà: il gelo, l’aborto delle vacche e la povertà. Negli anni trenta poi arrivò la leva, che chiamò alle armi. Guerra d’Africa e poi seconda guerra mondiale.
Per più di dieci anni, in casa Radeghieri, restarono a mandare avanti il podere, con Artemio, solo le donne.
«Furono anni terribili, conclusi solo nel 1946, quando gli otto maschi rientrarono a casa. Tutti vivi. Ma quali angosce si passarono in famiglia!
Tra gli zii, c’era chi andò prigioniero in Etiopia o in Tunisia, chi in campo di concentramento a Norimberga, chi combatté in Jugoslavia, in Grecia, chi fu ferito e chi fece il partigiano nella Resistenza» ricorda Lorenzo. Sua madre, Vanda Radeghieri, la sesta dei dodici, non fu da meno.
Fece la staffetta partigiana, fu arrestata e torturata.
Negli anni sessanta ognuno di loro prende la sua strada e arriva in città. Correggio s’inurba e fa da calamita: bagno in casa e lavoro che non soffre l’inclemenza del tempo.
Fabbrica, pubblica amministrazione, commercio. In quattro di loro decidono l’avventura del gran bar “Tubino”, in fondo ai portici, presso la vecchia piazza delle corriere.
Gelati e caffè, briscola e ramino, bigliardo e bigliardino, pubbliche relazioni dall’alba a notte fonda tra nuvole di fumo, per un ventennio.
È il bar che frequenta Luciano Ligabue da ragazzo e che ispira la sua famosa canzone “Bar Mario”.
Affabili, brillanti, sempre. Il Tubino è la vetrina attraverso cui una grande parte dei cittadini di Correggio sperimenta la generosità, l’onestà e l’operosità propria dei Radeghieri.
Un marchio ancora ben scolpito nella memoria cittadina.
L’esodo dalla campagna non è comunque una diaspora. I dodici, con le loro nuove famiglie, con i loro nuovi arrivati, continuano a vedersi, a stare insieme.
La famiglia è la famiglia. Poche balle, cara tribù.
«Tutte le domeniche ci si trovava, specie nella prima casa a schiera del nuovo quartiere Giardino, in via Zanichelli, che cinque di loro vollero e condivisero. Gnocco fritto, partite a carte interminabili e chiacchiere, condite da scherzi, risate e tanto affetto reciproco» ricorda Luciana, figlia di Vulmaro, il quartogenito.
Un esempio di grande amore fraterno, di unità, coltivati con senso dell’amicizia, della comprensione reciproca, della voglia di aiutarsi in ogni occasione.
Il loro mondo però non finiva lì, nei legami parentali. Erano tutti comunisti, in chiesa andavano solo in qualche rara occasione, con buona pace del cugino Don Ciro Radeghieri, per anni parroco di Mandrio.
E il giornale l’Unità, la cellula di Partito, l’UDI e Noi Donne furono vive fonti culturali per loro, come per tante compagne e compagni con la terza elementare.
«Il papà, le zie, gli zii in generale leggevano, erano curiosi, conoscevano tante cose del mondo, maturando una saggezza che offriva stimoli, valori ai figli e ai nipoti in cerca del senso della vita» dice ancora Laura.
Adesso tocca a loro, Laura, Luciana, Lorenzo che ci hanno aiutato a ricordare genitori e zii. E con loro ai tanti cugini, figli, nipoti.
Allora bastava una scoreggia inopportuna e si rideva in compagnia.
Oggi, si sa, è tutto più complicato. Si pretende di più.
E il trovarsi tutti insieme con ricorrente assiduità per gli eredi dei dodici Radeghieri non è più così automatico.
Ma la volontà non manca. Ci assicurano. Come quando nel 2015 si sono trovati, con Fausto ancora in vita, per un pranzetto di famiglia.
56 i presenti, quattro generazioni rappresentate.
D’altronde portare avanti l’eredità dei Rabitein di Mandrio è una cosa seria, no?
I dodici:
Nomi e anno di nascita
Elda 1910
Maria 1911
Lampridio 1912
Vulmaro 1913
Francesco 1915
Vanda 1916
Vittorio 1919
Fausto 1921
Lorenzo 1922
Gustavo e Guglielmo (gemelli) 1925
Normanna 1929.