In Volare basso, Fabrizio Tavernelli lanciò diversi messaggi e alcuni mi sono rimasti impressi nella memoria: il j’accuse verso il mondo della musica, che forse poteva dargli di più, e lo scavare nel profondo dell’io cantando di animo e spirito.
Con l’ultimo disco partiamo “volando alto”, perché il titolo è già un programma: Fantacoscienza.
C’è un legame tra i due lavori?
«Sicuramente c’è un percorso comune, ma inizia da più lontano con Nomade psichico (album del 1996 degli AFA) fino ad arrivare a Volare basso.
Esistono due comuni denominatori che legano questo mio percorso: la ricerca costante di brani “impegnati” che fanno riflettere e il viaggio interiore».
Da dove nasce il titolo?
«Il titolo l’ho rubato.
Nata tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70, la fantacoscienza ha cercato un contatto dimensionale tra lo spazio esterno e lo spazio interiore della coscienza.
Il neologismo appartiene al critico cinematografico Callisto Cosulich e il migliore esempio, ma non l’unico, lo si trova in 2001 Odissea nello spazio».
Che temi affronti?
«È un viaggio dentro la mia coscienza e mi pongo delle domande tipo: “C’è traccia di coscienza dentro di me?”
Come gli scienziati si chiedono da decenni se esistono nello spazio altre civiltà, io scavando nel mio interiore più profondo, vado alla ricerca di nuove galassie di sentimenti o malinconie che si intrecciano come orbite intorno al mio intimo.
Questo è il mio reportage fatto in modo onesto e lo metto a disposizione di chi vuole accompagnarmi in questo viaggio.
È un disco composto di dolcezze siderali e cattiverie abissali».
Mi sembra che tu abbia avuto un’evoluzione da “una vita spericolata” fino a temi più intimi…
«Quando si è giovani si pensa di avere il mondo in mano e si alzano dei paletti verso mondi che ritieni che non ti appartengano, classificando tutto in due “macro contenitori”: questo mi piace, quello no.
All’inizio pensi di fare della musica una professione, poi ti scontri con la dura realtà e con l’esperienza diventi più saggio.
Fai ricerca di contenuti e di testi.
Ampli la tua visuale.
Ritengo che questo sia un cambiamento naturale se si vuole migliorare».
Dove sta andando a livello musicale Fabrizio Tavernelli?
«Sicuramente resta la voglia di sperimentare,di essere originale sia nei testi che nella musica.
Capisco chi inizia; è facile fare delle cover, ma poi se non trovi una tua via, una tua dimensione e un tuo prodotto non farai che “scimmiottare” chi già esiste.
Oggi ho allargato la mia visione e ascolto diverse musiche e cantanti.
È molto importante perché scrivo sia i testi che la musica e il mio genere di musica colto/popolare è difficile da vendere, quindi devi sempre andare avanti, proporre qualcosa di nuovo».
Anche con questo disco hai seguito la via del crowdfunding. Più indipendente di così!
«Innanzitutto è un fatto fisiologico.
Oggi le case discografiche finanziano i talent, puntano totalmente sulla musica commerciale e degli artisti buoni per una stagione.
Poi, con il crownfounding si riscopre l’etica del do it (fai tu), e comunque viene utilizzato anche da cantanti di prima fascia.
In questo modo si è a diretto contatto con la base, sei più vicino alla gente e la coinvolgi nel tuo progetto.
E poi scrivo e canto quello che penso.
Insomma, mi sembra un buon modo per portare avanti progetti e su questo non debbo rilasciare patentini di presunta moralità o verginità».
Quindi sei soddisfatto dei numeri?
«Certamente. Quasi 400 persone hanno aderito al mio progetto, e questo mi permetterà di far girare qualche canzone in radio.
In previsione c’è anche un video. In fondo, soddisfazioni ne ho avute (soldi davvero no).
Di certo non sono mancate le delusioni e le prese di coscienza.
Tutto però rientra in un disegno di vita e anche le esperienze più “quotidiane” diventano un ottimo spunto di riflessione.
La parola “successo” perde di significato se rapportata ad un percorso di ricerca che dura una vita».