Riccardo Bertoncelli presenta per i nostri lettori l’evento di Primo Piano dedicato a Fabrizio De André, ove dialogherà con gli altri prestigiosi relatori.
Quella di Fabrizio De André è una delle storie musicali più avvincenti del nostro tempo; stavo per scrivere “del Novecento”, visto che Faber non ha potuto conoscere il nuovo secolo, ma l’interesse e l’affetto che lo circondano ancora oggi impone di considerarlo comunque un contemporaneo. Niente è ordinario nella sua vicenda: non gli inizi, timidi e carbonari, né il successo, raggiunto con il passaparola senza potenti strategie di marketing, e men che meno la qualità delle sue canzoni, sempre così accurate ed eleganti, ogni volta diverse, sorprendenti. La sua figura ha attirato frotte di appassionati proprio per questa spontanea originalità, fuori da ogni schema o modello precedente.
Guai però a considerarlo “un uomo solo al comando”, un autarchico indipendentista. De André si nutriva degli altri, di incontri, accanite letture, suggestioni, occasioni, e amava confrontarsi per dare così stimolo al suo lato creativo, per non ripetersi, per non trovarsi impreparato davanti ai tempi sempre nuovi. Lo ha fatto splendidamente nei quarant’anni della sua vicenda pubblica, appoggiandosi in momenti diversi a Giampiero Reverberi, al giovanissimo Francesco De Gregori, alla PFM di Mauro Pagani, a Massimo Bubola, a Ivano Fossati; non per succhiare il sangue da vampiro, ma per dare e ricevere, per imparare, e alla fine marchiare tutto con la sua potente personalità – e con quella voce, che non vale descrivere, basta risentirla dentro.
Anni fa ho scritto un libro per raccontare questo lato di Faber, intervistando proprio chi lo aveva aiutato lungo il cammino. Si chiama “Belìn, sei sicuro?” ed è forse il progetto più appassionante della mia vicenda, lunga quasi come quella di De André. Fra le tante storie divertenti, non dimenticherò mai un ricordo di Roberto Dané, il produttore che lo aveva affiancato ai tempi di “Buona Novella” e di “Storia di un impiegato”. Dané faceva il regista in quegli anni, e Faber lo chiamava scherzosamente “metteur en scène”, alla francese; al che Dané replicava con un maccheronico “metteur ensième”, che trovo un’intuizione straordinaria. Se devo riassumere in un solo termine il suo inimitabile talento, dico che Fabrizio De André è stato in effetti un originalissimo, straordinario “metteur ensième”. Ha preso pezzi di vita, di poesia, di musiche, di suggerimenti, spunti e contributi, componendo un grande affresco con la sua impronta forte e la sua aura carismatica.
Sono passati vent’anni dalla sua morte, ma quell’affresco ci incanta ancora, così ricco e luminoso.
Riccardo Bertoncelli