Elogio del punto

Come Parliamo

Parole, parole parole… così cantavano Mina e Alberto Lupo nel loro immortale duetto. È vero, le parole sono fondamentali, sono le unità grazie a cui possiamo articolare il nostro pensiero, tanto che le prime cose che si imparano di una lingua straniera sono proprio i vocaboli. Solo in un secondo momento siamo in grado di connetterli fra loro, e questo ci accade non soltanto quando studiamo una lingua che non è la nostra, ma anche da bambini.

Il discorso scritto si compone però di una miriade di altre parti, così piccole che a volte ci sfuggono. Se ripensiamo ai primi anni di scuola, magari alle elementari, una delle correzioni più temute nei temi era quella che riguardava la punteggiatura. «Scrivi periodi troppo lunghi», mi rimproverava una delle mie maestre. Sul momento non capivo quale fosse il problema, ma crescendo mi è rimasta la sana abitudine di spezzare le mie frasi, e di questo devo ringraziarla ancora oggi. La verità è che un discorso si organizza proprio grazie ai punti, alle virgole e ai due punti: senza di essi, la nostra frase diventa una catena senza tempo, che non lascia spazio alla mente per riflettere. Il punto, soprattutto, è una delle più grandi invenzioni della mente umana, a mio parere. Era già in uso fra greci e latini, che lo usavano, come noi, per separare due unità di discorso di senso compiuto. È dunque il segno interpuntivo più antico, ed il più fondamentale. Di nuovo, la memoria di alcuni potrebbe correre alle scuole elementari, dove in tempi non recenti si usava far esercitare gli alunni in sterminate file di punti e aste, per rendere avvezza la mano alla scrittura. Anche in questo senso, il punto è uno dei più antichi ricordi degli scolari.

Non a caso, il termine punto compare in una grande varietà di espressioni idiomatiche, tutte facenti capo allo stesso concetto: quello di un cambiamento drastico, di una separazione. Se infatti due fidanzati si lasciano, possiamo dire che il responsabile della rottura, o entrambi, abbiano messo un punto alla loro relazione. In altre parole, sono andati punto e a capo, ed ora la loro vita proseguirà su binari diversi. Non da ultima, Punto, questa volta con la P maiuscola, è anche il nome di una delle auto più diffuse nella nostra Italia.

Nel tempo l’uso che facciamo del punto è cambiato, soprattutto nei romanzi e nel giornalismo. Se nei grandi classici di fine Ottocento e della prima metà del Novecento lo stile prevalente era quello composto da periodi lunghi e contorti, si giunge ora sempre più spesso ad una prosa frammentaria, composta da tante frasi accostate fra loro. Questo nuovo stile è ancora più lampante nel giornalismo, dove prevalgono oggi frasi brevi in cui il nome acquisisce una nuova rilevanza.

Attenzione però a non abusare del punto: se è un peccato dimenticarsene, è ancora più grave disseminarlo a piene mani, come a volte si vede in alcune opere letterarie contemporanee. Un uso troppo grande può rendere difficoltosa la comprensione del testo, che risulta slegato e difficilmente ricomponibile.

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