Due chiacchiere con Monica Morini

Monica Morini si dedica alla narrazione da più di 20 anni. Durante la sua carriera ha ricevuto diversi riconoscimenti. Lo spettacolo C’era una volta un re…No!

C’era una volta una principessa è stato premiato al 33° Festival Nazionale del Teatro per i Ragazzi.

 

Gli abitanti dell’isola di Giava (arcipelago indonesiano) hanno un termine per definire la condizione nella quale si trovano bambini e adolescenti, creature che stanno compiendo il percorso che li porterà a diventare adulti.
Il termine è ndurung djava, ossia: “non ancora giavanesi”.
Quel “non” mi ha colpito, perché racchiude una serie infinita di possibilità.
“Non essere una cosa” significa che se ne può essere mille altre e questa visione rende i fanciulli protagonisti di un viaggio tanto importante quanto speciale, perché per loro ancora tutto è possibile.

Domenica 22 febbraio al Teatro Asioli è andato in scena lo spettacolo: C’era una volta un re… No! C’era una volta una principessa della compagnia Teatro dell’Orsa.
Dopo la rappresentazione, ho scambiato due chiacchiere con Monica Morini, una persona che i bambini, quelle creature quasi magiche che tutto possono ancora essere, le ha poste al centro della propria vita e del proprio fare.

La prima domanda è quasi banale, ma viene spontanea: perché hai scelto di dedicarti al teatro per bambini?
«La vocazione per l’infanzia mi attraversa come persona da sempre.
Anche all’Università studiavo Lettere, ma continuavo ad aggiungere corsi di letteratura per l’infanzia nonostante non c’entrassero niente con il mio curriculum.
Posso dire che se la vita è un gomitolo da srotolare, nel mio gomitolo c’è sempre stato un filo che mi portava all’infanzia».

Che ruolo devono avere, secondo te, i testi per bambini?
Devono educare o assecondare l’“occhio del fanciullo”, rivolto verso un mondo magico, fatto di passaggi segreti, creature fatate, luoghi fantastici?
«La narrazione per me è un viaggio: narrare significa condurre altrove chi ti sta di fronte.
I bambini sono i compagni migliori con i quali si possa affrontare questo percorso di scoperta, perché il pubblico dell’infanzia ha l’occhio spalancato sull’infinito.
I bambini non guardano indietro, non fanno bilanci, non sprecano tempo per dare giudizi.
Loro osservano, si meravigliano, si lasciano condurre senza timori, e le fiabe, secondo me, devono allenarli alla speranza, affinché trovino, dentro di loro, la forza per superare le difficoltà e imparino che nessuno può dirgli che non sono “abbastanza”.
Perché se anche sei il Pollicino più piccolo di tutti puoi trovare un paio di stivali magici che ti aiuteranno a compiere grandi imprese».

È difficile sopravvivere in un contesto nel quale la qualità viene spesso messa da parte e si cerca di fare dei bambini semplicemente dei “consumatori”, o invece, alla fine, puntare sulla qualità come fate voi, paga?
«Fare teatro e farlo bene richiede tempo e fatica.
Occorre molto studio e un impegno costante e continuo.
Attualmente sono poche le persone disposte a fare fatica, anche perché il messaggio che arriva da più parti è che ognuno possa ottenere ciò che vuole senza nessuno sforzo.
C’è chi segue un corso di teatro e poi si improvvisa attore, e rivolgersi ai bambini può apparire una buona scelta per chi ritiene che basti poco per accontentarli.
Questo modo di fare però non aiuta l’arte e la cultura, che così si impoveriscono e ci impoveriscono. Anche riempire un teatro è il frutto di un lavoro capillare fatto sul territorio, lavorando prima con le scuole, le ludoteche, ma alla fine, e di questo l’impegno profuso paga».

Un grazie infinito a Monica Morini e al Teatro dell’Orsa per il tempo prezioso che dedicano ai nostri figli, per la loro professionalità e per le splendide storie narrate, nutrimento prezioso per tutti i bambini di età compresa… tra i 4 e i 99 anni!

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