Dodici anni di onorevole impegno

Il correggese Maino Marchi lascia il Parlamento

Già Sindaco di Correggio, vicepresidente della Provincia di Reggio, segretario provinciale dei Democratici di Sinistra, è stato eletto nel 2006 alla Camera dei deputati e poi riconfermato nel 2008 e nel 2013. Parliamo di Maino Marchi, nostro concittadino, che alle elezioni del 2018 non si ripresenterà. Primo Piano vuole salutarlo e ringraziarlo per il suo impegno e la sua presenza, sicuramente apprezzati dal nostro territorio, ma non solo. Nel farlo, gli abbiamo chiesto qualche commento sulla sua esperienza.

Per 12 anni sei sempre stato ai livelli più alti di presenza sui banchi di Montecitorio. Che giudizio dai del lavoro dei parlamentari? Ha ragione chi parla di casta parassitaria e improduttiva?
«I singoli parlamentari sono tutti diversi uno dall’altro. I giudizi generici, quelli del “sono tutti uguali”, servono esclusivamente a chi usa il ruolo istituzionale solo per interesse personale. Si può funzionare meglio modificando i regolamenti: dopo tanti anni in Parlamento sono convintissimo che il problema stia nel bicameralismo perfetto, ma gli elettori hanno deciso di preservarlo. Insieme ad esso rimane anche una legge elettorale che non potrà mai essere migliorata al punto di garantire maggioranze politicamente omogenee. Solo con il ballottaggio ci si riuscirebbe, ma questa manovra è stata dichiarata incostituzionale. Detto questo, penso che la Legislatura che si sta chiudendo risulterà tra le più produttive nella storia della Repubblica, ma ciò è stato possibile solo a costo di continue forzature sulle procedure. È scoraggiante che non si riesca a far funzionare meglio la democrazia e che chi ci provi venga accusato di attaccarla».

Ti sei occupato molto di Enti locali. Come vedi la loro situazione oggi? È più dura la vita per un Sindaco o per un Deputato?
«La vita dei Sindaci non solo è più dura di quella dei Deputati, ma è peggiorata molto con il tempo. Indennità basse, doppi o tripli ruoli, nessun rimborso, spese di rappresentanza a proprio carico. È una situazione insostenibile, da cambiare. Una notte della scorsa estate, mentre con i rappresentanti della maggioranza e del Governo stavamo esaminando un decreto legge che riguardava anche gli Enti Locali, alle 4 ho cominciato a urlare contro uno dei numerosi funzionari ministeriali presenti che non hanno la benché minima idea di cosa voglia dire fare il Sindaco oggi. La situazione degli Enti Locali è stato il maggior cruccio della mia esperienza parlamentare. Sono entrato sperando di aiutare a migliorarla e l’ho vista sempre peggiorare, con i Governi Prodi II, Berlusconi, Monti, Letta e anche Renzi, fino alla legge di stabilità per il 2015 che ha fatto tagli drastici, in particolare sulle Province. Poi dal 2016 è cominciato il miglioramento: via il vecchio patto di stabilità interno, pareggio di bilancio, più spazio per gli investimenti, un po’ meno vincoli, rifinanziate in buona parte le Province. L’eliminazione della  TASI sulla prima casa ha però aperto un grande problema. Non c’è autonomia finanziaria e tributaria. Troppa finanza derivata, cioè dipendente dallo Stato».

Com’è cambiata la percezione della politica? I partiti hanno ancora quel ruolo democratico fondamentale previsto dalla Costituzione? O sono da rottamare? Ti senti un po’ in colpa?
«Senza partiti o movimenti politici non vedo come la democrazia e la politica possano servire alla parte più debole per avere più giustizia sociale e più uguaglianza o anche solo meno disuguaglianza. Il personalismo e il leaderismo assoluti servono solo ai poteri forti. Dopo di che nessuno ha la ricetta per far funzionare bene i partiti nelle condizioni sociali attuali e questo è un grande problema. Sento di avere la mia parte di colpa, come tutti quelli che hanno dedicato gran parte del loro tempo e della loro vita alla politica».

C’è chi esalta la superiorità della democrazia diretta, quella che nasce dai social e dal web. La democrazia rappresentativa è solo un costo inutile?
«Ci vuole più democrazia diretta sul piano istituzionale e la riforma costituzionale avrebbe dato, se approvata, risposte su questo. Ma senza le istituzioni mancano i luoghi per organizzare e dare efficacia anche alla democrazia diretta. Non vedo democrazia senza democrazia rappresentativa. Vale anche per i partiti e i movimenti politici».

 Oggi tutti sanno tutto. Ma le competenze servono? Occupandoti del bilancio dello Stato, ne hai visto di tutti i colori tra richieste e pressioni? Perché tanti giovani ricercatori scappano all’estero?
«Senza competenze non si vince la sfida dell’innovazione e si perde capacità competitiva, con riflessi sull’occupazione e la vita delle persone. Le pressioni ci saranno sempre. Sta alla politica selezionare le proposte positive e che servono anche all’interesse generale, rifiutando il lobbismo fine a sé stesso. Però forse anche le lobbies andrebbero regolamentate e resi più trasparenti i processi. L’Italia negli ultimi trent’anni ha perso posizioni, si è impoverita, il lavoro e le competenze sono stati svalutati e i giovani sono andati all’estero. Stiamo modificando la situazione. Se non affossiamo tutto con provvedimenti come flat tax, abolizione della legge Fornero, tasse sui robot, referendum sull’euro, reddito di cittadinanza, insomma se non ci mettiamo nelle mani di Salvini o Grillo, possiamo continuare a recuperare e a creare le condizioni per un ritorno o una permanenza dei giovani».

La più bella soddisfazione della tua carriera parlamentare?
«Ne cito tre. La prima è il miglioramento, strappato con le unghie e con i denti, durante il Governo Monti, di tutti i provvedimenti sul terremoto dell’Emilia, mandando anche sotto due volte il Governo, in Commissione Bilancio, su uno degli interventi più importanti. La seconda quando, dopo una riunione a Correggio fino a notte fonda e un’alzata all’alba, il 7 maggio 2014, sono arrivato davanti all’ingresso della Camera e mi hanno telefonato dal gruppo per propormi di fare il Capogruppo del PD alla Commissione Bilancio. La terza è relativa alla legge di stabilità per il 2016, dove siamo riusciti ad approvare tutti gli emendamenti che ritenevamo importanti».

Hai dei rimpianti?
«Sul piano politico la caduta del secondo governo Prodi, la pessima campagna elettorale del 2013, la sconfitta al referendum costituzionale. Sul piano personale la mancata approvazione, nonostante quattro legislature, della proposta di legge sulla Fondazione del Museo Nazionale della Psichiatria S. Lazzaro di Reggio Emilia. Questa volta ci speravo, anche per il sostegno del Ministro Franceschini, ma ci siamo fermati all’approvazione in Commissione Cultura della Camera».

E adesso che farai? Il casalingo? Dalla cucina del bilancio dello Stato alla cucina di casa? Ti spaventa l’idea di perdere il potere pubblico e rifluire nel privato?
«Politicamente continuerò il mio impegno antifascista e di sinistra. Lavorerò perché il PD non si sposti al centro, ma si ricostituisca il più ampio centrosinistra, cioè si ritorni allo spirito dell’Ulivo e del PD del 2007. Ho sempre vissuto il potere come un onere, oltre che un onore, per cui non mi spaventa non averne. Comunque il cuoco di casa no, la qualità ne subirebbe molto. Al massimo il lavapiatti. Per ora sono assorbito dagli impegni di tesoriere provinciale del PD e dalla campagna elettorale».

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