Dei delitti e delle pene, nella Correggio dei principi

Maddalena Nicolini parla della sua tesi di laurea

Son qui seduto al bar del teatro, e mi aspetta una “bella gatta da pelare”.
No, non è la persona che devo incontrare, ma l’argomento che voglio esporre ai nostri lettori, un po’ ostico per me.
La persona è la neolaureata in giurisprudenza Maddalena Nicolini.
L’argomento è la sua tesi: Statuta Civitatis Corrigiae nei secoli XVI-XVII (gli statuti della Città di Correggio nei secoli XVI-XVII), al tempo in cui il nostro borgo fortificato assurse al rango di città (1559).

Gli statuti e le tre principali riforme del 1538, 1567 e 1615, con i reati e le rispettive pene previste dal codice ci fanno subito capire come Correggio fosse evoluta anche in questa materia.

Maddalena è una miniera di informazioni.
Mi parla di giustizia civile e giustizia criminale, di ordinanze e costituzioni, di reati di lesa maestà, di crimini efferati (ad esempio l’omicidio che prevedeva la condanna a morte mediante decapitazione). Poi di fatti più curiosi come il camminare di notte in città, dopo il suono della campana della torre civica, senza l’uso di un lume, punito con 25 lire di ammenda.

Dopo un succo di frutta ed un caffè, passiamo in rassegna diversi reati con le rispettive pene.
Scopro che la decapitazione era prevista anche per chi avvelenava una persona dietro compenso o su richiesta e la medesima pena toccava al mandante.
Non erano più fortunati i parricidi e gli incendiari, per i quali però, se il danno arrecato non era così grave, lo statuto correggese prevedeva una pena pecuniaria: conveniva versarla alla Camera dei Magnifici Signori, altrimenti era prevista l’amputazione della mano!

Ai falsari non andava meglio; si poteva arrivare alla condanna del colpevole al rogo.
Se poi ti limitavi a falsificare un documento, pagavi quattro volte il corrispettivo del danno arrecato ed eri costretto a vagare per la città con la “mitria” in capo, una sorta di copricapo della vergogna, per tre giorni. Erano poi severamente puniti i tentativi di corruzione (ricordo che siamo nel 1500 e, se non con un Rolex, potevano corromperti pagandoti una casa).

La dolce Maddalena (non la brioche del bar, ma la Nicolini…) prosegue col dirmi che chi si fosse macchiato dell’ “horrendum ac sordidissimus” crimine della sodomia poteva incorrere nella pena del rogo.

Lo statuto prevedeva che le pene corporali fossero inflitte in un luogo pubblico, come monito esemplare per reprimere i crimini e le emulazioni. Dall’archivio criminale di Correggio emerge che, anche in seguito al passaggio del principato agli Este, la gestione dell’ordine sociale continuò allo stesso modo.

La sollecita Maddalena mette l’accento anche sugli aspetti in positivo, come la difesa delle vedove e dei bisognosi, la custodia dei minori e degli orfani, la cura delle chiese, degli ospedali, dei luoghi pubblici. La giustizia era, pare di capire, piuttosto celere, visto che la difesa dell’imputato aveva solo otto giorni per raccogliere le argomentazioni necessarie a dimostrare l’innocenza dell’assistito.

Tralasciamo il capitolo tormenti e torture nella speranza siano state applicate il meno possibile, ma per chi volesse approfondire tutti questi argomenti Maddalena raccomanda il testo di G. Longagnani “L’archivio giudiziario di Correggio sec. XVI-XVIII”.

La riconoscente Maddalena mi chiede di ringraziare pubblicamente il dott. Gabriele Fabbrici, Giovanni Fontanesi e Valter Fontanesi per la disponibilità e le collaborazioni.
È proprio una cara ragazza. E bella. Avere quei 20 o 30 anni di meno!

Ma non divaghiamo e citiamo, piuttosto, una frase del grande Cesare Beccaria, che a proposito dei delitti e delle pene sapeva il fatto suo: « Il più sicuro ma il più difficile mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione».
Duecentocinquant’anni dopo non ci resta che dire: com’è vero!

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