Dalla terra alla tavola

Carlo Petrini e Lucio Cavazzoni il 6 giugno a correggio con primo piano

Di biologico e, più in generale, di alimentazione e di salubrità degli alimenti, di sostenibilità dell’agricoltura e dell’ambiente nonché di consumo responsabile parleremo il 6 giugno prossimo nella splendida cornice del cortile del Palazzo dei Principi alle ore 21.00. Primo Piano, assieme alla condotta reggiana di Slow Food, ha chiamato due relatori di eccezione a conversare sul cibo e sul rapporto tra terra e tavola: Carlo Petrini e Lucio Cavazzoni.


Ci si riempie la bocca di biologico

Il termine biologico racchiude un fascino che da subito ispira fiducia. Molto più di quanto riesca a fare la corrispondente definizione anglosassone organic. Anche se le produzioni biologiche hanno già per definizione un buon gradimento da parte del consumatore, è importante chiedersi se veramente conosciamo a fondo cosa sono il Bio ed i metodi di coltivazione sostenibili.  Questo sia per gli importanti riflessi sull’ambiente e sulla salubrità degli alimenti, sia per rendere merito a chi si sta impegnando per sistemi di coltivazione che, al di là dei numeri, hanno rivoluzionato il mondo della produzione agricola e alimentare.


Un sistema di coltivazione più impegnativo

L’agricoltura biologica è un metodo di coltivazione che utilizza tecniche rispettose della fertilità intrinseca del suolo, della natura delle piante, degli animali e dell’equilibrio ambientale. Esclude l’impiego di concimi, fitofarmaci e medicinali veterinari di sintesi chimica. Le produzioni biologiche, per potersi definire tali, devono essere certificate degli Organismi di Controllo riconosciuti e autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole. Questo deve avvenire sia nelle coltivazioni in campo che negli stabilimenti di trasformazione: per ottenere un prodotto biologico non è sufficiente partire dalla materia prima certificata, ma si deve certificare anche tutto il processo di trasformazione. È per questo che gli operatori biologici vengono distinti in produttori, preparatori ed importatori.

 

Il Bio vince e convince

L’agricoltura biologica ha saputo dimostrare di potere essere attuabile in campo e protagonista del mercato. I prodotti biologici nella grande distribuzione non sono più ghettizzati in piccoli spazi, frutta e verdura a parte, ma si sono perfettamente integrati agli altri negli scaffali, offrendo così molte più opportunità anche al consumatore poco attento al Bio. È un aspetto positivo, perché consente un confronto diretto sulla qualità ma anche sul prezzo, visto che non necessariamente il prodotto biologico deve costare di più rispetto a quello di agricoltura cosiddetta convenzionale. L’aspetto negativo invece è psicologico, visto che troppo spesso i non addetti ai lavori considerano il Bio migliore a prescindere ed il resto cattivo.

 

Non esiste più il biologico di una volta

Rispetto a 30 anni fa, il confronto fra agricoltura biologica ed agricoltura integrata è profondamente cambiato. La difesa biologica e quella integrata in Emilia Romagna hanno preso vita e si sono evolute partendo da un progetto comune. Una storia lunga che ha portato oggi alla definizione dei disciplinari di produzione integrata obbligatoria applicata su tutte le colture a livello regionale. Questi sono estremamente restrittivi e con strategie molto spesso comuni con quelle della difesa biologica. La confusione sessuale o l’irrorazione in campo di batteri come il “Bacillus Thuringensis” sono alcuni esempi oltre a quelli dell’applicazione di fitofarmaci di origine naturale e non di sintesi, come il rame o lo zolfo. La forbice di “sostenibilità” fra i due metodi di difesa oggi è veramente molto ristretta.

 

Lucio Cavazzoni, laureato in sociologia, già a capo del Conapi (Consorzio nazionale apicoltori), è il Presidente di Alce Nero, società che raggruppa agricoltori biologici, apicoltori, produttori fairtrade. È impresa leader del biologico in Italia. Soci azionisti sono cooperative ed imprese private di trasformazione di prodotti biologici. È autore del libro I semi di mille rivoluzioni.

Carlo Petrini, sociologo, gastronomo, scrittore è fondatore e Presidente di Slow Food, il movimento internazionale che organizza il Salone del Gusto e Terra Madre. Ha avuto importanti riconoscimenti di prestigio per il suo impegno per l’agricoltura compatibile, per la biodiversità, per un sistema alimentare più equo e condiviso. Ha scritto diversi libri tra cui “Buono, pulito e giusto”, la sintesi del suo pensiero. Nel 2016 è stato nominato ambasciatore speciale della FAO in Europa per Fame Zero.

 

I veri numeri del Bio

Siamo da tempo abituati a considerare il fenomeno Bio in costante ed inesorabile crescita, anche se non va dimenticato che è più facile incrementare di percentuali rilevanti frazioni di partenza modeste rispetto al contrario. Affermare che la superficie coltivata biologicamente in Italia nel 2016 è aumentata del 7% rispetto al 2015 e che quella di produzione integrata che si è convertita al biologico è dello 0,7% significa esattamente la stessa cosa. L’effetto però è differente. Secondo il Siab, Sistema Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica, la superficie biologica complessivamente coltivata in Italia oggi è l’11% di quella complessiva. La media europea è del solo 6%. Il 46% di questi terreni sono coltivati in Sicilia, Calabria e Puglia.

L’Italia nell’ultimo anno ha importato il 51% dei prodotti biologici commercializzati, il 67% dei quali costituito da cereali. Il 3% dei prodotti alimentari complessivamente consumati dagli italiani è biologico. Ancora più complesso il quadro del numero di produttori. In provincia di Reggio i produttori Bio sono 422 ed i trasformatori 96. Fra questi ci sono 116 allevamenti, il 15% dei quali costituito da api. Correggio da questo punto di vista non è particolarmente virtuoso. Gli operatori Bio censiti nell’elenco della Regione Emilia Romagna sono 10 e solo 4 di questi sono produttori. A Correggio oggi vengono coltivati biologicamente solo 3,42 ettari.

Nella maggior parte dei casi i produttori biologici non sono produttori Bio esclusivi ma effettuano scelte differenti in funzione degli appezzamenti e della coltura. D’altro canto il metodo Bio è più facilmente applicabile su determinate colture rispetto ad altre e non è un caso che in Emilia Romagna per esempio il 41% della superficie coltivata biologicamente sia costituito da colture foraggere, importanti per gli allevamenti Bio, il 15% da cereali, l’11% da terreni a riposo, il 3,2% colture industriali, il 3,1% da ortaggi, il 2,5% da vite e l’1% da frutticole. Percentuali che fanno riflettere sulla disponibilità effettiva di alimenti Bio, sul futuro degli stessi e sulla possibilità di incremento. Il tutto in un momento in cui il Bio sta esercitando un forte richiamo anche d’immagine. I compratori stranieri dialogano solo con chi produce Bio; disporre di una linea di prodotti biologici è già di per sè qualificante, indipendentemente dal peso percentuale di questo filone rispetto alla produzione complessiva.

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