Questa è una di quelle storie che mi piace raccontare, perché ha per protagonista un ragazzo giovanissimo, una famiglia che con le sue sole forze lo sostiene ed un go-kart. La storia comincia a Correggio alcuni anni fa ed è quella di Alex Tarasconi, classe 2003, già pilota di kart ed ora pronto per le automobili da corsa.
Come nasce la tua passione per la guida?
«La mia è una passione ereditata dal papà, che ha corso il campionato italiano negli anni ‘90 con la Renault, e da mio nonno, che invece ha corso con diverse macchine».
Quando hai cominciato a guidare i go-kart?
«Da piccolino, avevo cinque anni. Alla pista di Migliaro ho fatto un test con un team di Modena: è stata la mia prima esperienza, ma brancolavo nel buio ed il kart era più grosso di me… Poi quattro anni fa, alla pista di Mantova, dove andavo a divertirmi, ho conosciuto un ragazzo in tuta che già correva e ci siamo accordati per provare sulla pista di Cremona con un kart serio, non uno di quelli elettrici, così, tanto per provare. Ho provato il mio primo 125 da gara e non ero andato malissimo, poi ne ho comprato uno, tutto mio: ogni tanto facevo qualche gara dove arrivavo sempre terzo o quarto, ma erano solo l’inizio. Quel kart poi, un’estate, l’ho distrutto durante una gara. Dopo un’iniziale scoraggiamento, lo abbiamo preso, gli abbiamo cambiato tutto quello che si poteva, compreso il telaio (anche se era un po’ vecchiotto) e abbiamo ricominciato a girare».
Vedo che usi sempre il plurale: hai una squadra che ti sostiene?
«(risata) Non l’avevo prima e non l’ho neppure adesso. Siamo io e mio papà che andiamo via il sabato col camper. Il papà mi fa da meccanico ed io corro. L’orgoglio più grande sta proprio in questo: io e papà che riusciamo a vincere contro veri e propri team. Magari loro si allenano dal giovedì, noi invece arriviamo il sabato e portiamo a casa la vittoria!».
Mi parlavi prima dell’incidente. Non hai paura quando corri?
«No, perché quando infili il casco sai già tutto quello che può succedere. Se uno ci pensa, non comincia neanche. Sai quali sono i rischi e lo accetti».
Chi ti ha insegnato come si corre?
«Nel circuito di Cremona è stato il signore da cui abbiamo acquistato il primo kart che mi ha introdotto alle giuste traiettorie e ai punti di frenata. In tutti gli altri ho imparato da solo, girando. Il percorso lo osservo prima, magari mentre siamo in viaggio sul camper mi studio la pista, guardo video on-board di altre corse per vedere i punti di staccata, le marce e così via».
Qual è il momento più bello?
«Prima delle gare, il sabato sera, quando nel paddock stai con gli altri piloti e parli della pista, delle loro aspettative o degli obiettivi del giorno dopo. É bello scambiarsi idee tra piloti! C’è competizione, ma solo dal momento in cui in pista abbassi la visiera: prima e dopo no, siamo tutti amici».
Quanti giri di pista fate?
«Dipende dal tipo di gara, 14/15 ma anche 12 se magari piove. E quando piove e c’è freddo, ti garantisco che fatico a guidare: avendo gli occhiali, si appannano loro e pure la visiera; magari sto andando ai 130 km/h con un altro di fianco… Insomma, bisogna essere molto lucidi».
Quando corri a cosa pensi?
«Non pensi a nulla, se non alle curve e a guidare. Il kart, non avendo gli specchietti retrovisori, non ti permette di vedere gli altri, quindi devi ascoltare quello dietro per capire se è a destra o a sinistra e di conseguenza come comportarti. Non hai tempo per altro».
Quali gare ricordi con maggiore entusiasmo?
«Il circuito di Ottobiano, dove ho vinto il campionato italiano “Brianza Karting Motorsport”. In quella gara ho fatto tutto quello che potevo fare: primo in qualifica, primo in gara uno con 9 secondi sul più diretto inseguitore, primo in gara due con dieci secondi. Uno stacco pazzesco. Ho tagliato il traguardo come Valentino Rossi: in piedi e con le mani dietro la schiena».
Hai un modello a cui ti ispiri?
«Beh, Ayrton Senna è il numero uno: pur stimando i piloti attuali, i miei preferiti rimangono quelli degli anni ‘70 e ’80: le macchine di quel tempo, prive di controlli elettronici, permettevano davvero di vedere il “manico” di chi guidava».
Ora che inizi a correre con le auto, qual è la differenza principale?
«Con le auto hai più tempo per pensare, il kart è più veloce in accelerazione: vai da 0 a 100 km/h in 2,8 secondi, hai pochissimo tempo di reazione, mentre la macchina ti consente di stare più “tranquillo”. Però il kart non raggiunge velocità elevate come l’automobile: considera che il max che ho raggiunto sono i 146 km/h».
Come ti alleni?
«Uso molto il simulatore, utile soprattutto durante questo periodo di pandemia. In pista solo nel weekend».
Qual è il tuo numero fortunato che ti accompagna in gara?
«Il 23, la mia data di nascita. Vuoi sapere una cosa buffa? La macchina con cui correva papà, che è ferma sul carrello da anni ha il contachilometri fermo sul 23».
Quasi un segno del destino, penso io. Un destino scritto tra le stelle e nel DNA di tre generazioni di Tarasconi, il cui fil rouge è questa passione che li unisce e che permea non solo la vita, ma anche tutta la futura carriera di Alex. Perché come disse Senna: “(durante una gara) dipendi da una squadra intera che collabora, da un insieme di forze e di persone che lottano per un obiettivo comune”. E se la tua squadra è la tua famiglia, sai di non poter avere team migliore di questo e che la lotta non può terminare se non con la tua vittoria. Ma questo i Tarasconi lo sanno e lo hanno dimostrato, ora sta a noi crederci insieme a loro! In bocca al lupo Alex, vola verso il successo.