Gli antichi romani usavano il modo di dire nomen omen (il nome è un presagio, il destino nel nome) per esprimere la loro convinzione che nel nome di una persona fosse già scritto il suo destino. Nel corso della storia il tema è sempre stato dibattuto e ha molto affascinato le singole persone e gli studiosi prevalentemente di psicologia ma anche di altre discipline.
Recenti ricerche americane e inglesi dimostrerebbero, in modo scientifico, che il nome di una persona non sarebbe solo uno strumento di identificazione ma decreterebbe anche parte del successo professionale e del destino della persona che lo porta. Queste convinzioni stanno facendo nascere una nuova figura professionale: il consulente del nome. Uno studio condotto dalla Università La Sapienza di Roma in collaborazione con altre università americane e polacche è arrivato a conclusioni diametralmente opposte, attraverso indagini statistiche:“Qualunque sia il peso del nome nell’esistenza di ognuno di certo esso non è una determinante del valore che ognuno attribuisce a sé stesso, e ancor di più è lontano dal colorare affettivamente l’esperienza quotidiana delle persone”.
Al di là di queste speculazioni filosofiche, intellettuali, è indubbio che certi nomi portano con sé un vissuto o scherzose conseguenze… La cultura popolare è piena di questi giochi di parole.
Ad una persona di nome Guido viene da sempre accoppiato il cognome La Macchina, a Remo La Barca, a Rosa Profumata… Ad una persona con il cognome Farina il nome Bianca, a Sasso Lino, a Cagossi Nei bragoni…
In diverse favole e racconti della cultura popolare i nomi dei personaggi, siano essi persone o animali, sono creati ad arte non solo per descriverne il destino ma anche per generare, al termine del racconto, stupore e ilarità.
Iniziamo con la storia di un somaro. La scelta dell’animale non è casuale.
A gh’era un cuntadein ch’al gh’iva un sumer ch’al s’ciameva Regulê.
L’era un bel sumer ch’al gh’j’uteva a fer i lavor in campagna.
Ste cuntadein l’era ingord e lef, al magneva tut col che a gh’capiteva dinans.
Pian pian l’a tache a ingraser e a ster poch bein.
Un de l’è ande dal dutor… a l’a tut visite po’ al gh’a det: “t’e gnu trop gros, bisogna te smet ed magner al pan, la roba cundida, i dols… bisogna che te smet ed bever al vein… bisogna che te cal ed pes, te gh’è da magner regulê”.
Lo l’è ande a ca tut sminti… al dutor a gh’n’iva det ed tut i culor e po’… mah?!
“… Se propria al vol ch’a faga acsè…”.
L’a mase al sumer e… l’a magne Regulê!!!
C’era un contadino che aveva un somaro, si chiamava Regolato.
Era un bel somaro che lo aiutava a fare i lavori in campagna.
Questo contadino era ingordo e goloso, mangiava tutto quello che gli capitava davanti.
Piano, piano ha cominciato ad ingrassare e a stare poco bene.
Un giorno è andato dal dottore che l’ha visitato e poi gli ha detto: “Sei diventato troppo grasso, devi smettere di mangiare il pane, i piatti conditi, i dolci… devi smettere di bere il vino… devi calare di peso… e mangiare regolato”.
È andato a casa costernato… il dottore gliene aveva dette di tutti i colori e poi… mah?!
“… Se proprio vuole che faccia così…”
Ha ucciso il somaro e… ha mangiato Regolato!!!
A volte il nome lega il destino degli animali con quello degli uomini, come nella favola di Etertant.
A gh’era na volta na vecia ch’l’a gh’iva un can che a s’ciameva Etertant.
L’era un bel cagnin e le la gh’era dimondi ligheda perché a gh’feva na gran cumpagnia.
Un de, sicome l’era pina ed pulegh, l’è andeda in cambra a spulgheres…
La s’è sfileda la camisa, la s’è caveda so nuda… mo a gh’è gnu in meint ch’l’iva lase avirt la porta ed ca…
L’a tache a ciamer al cagnin… Etertant… Etertant… mo lo al rispundiva mia…
Alora, preocupeda per al so can l’è corsa fora ed ca, acse cuma l’era…nuda!!!
A j’aginta ch’la cateda la ghe dmandeva: “iiv vest Etertant?”
E lor, in dal veder la vecia nuda i rispundiven: “Etertant a n’om mai vest!”
C’era una vecchia che aveva un cane dal nome Altrettanto.
Era un bel cagnolino e lei gli era molto affezionata perché le faceva una gran compagnia.
Un giorno, siccome la vecchia era piena di pulci, è andata nella sua camera a spulciarsi.
Si è tolta la camicia, si è spogliata nuda… ma si è ricordata che aveva lasciata aperta la porta di casa…
Ha cominciato a chiamare il cagnolino… Altrettanto… Altrettanto… ma lui non rispondeva…
Allora preoccupata per il suo cane è uscita di casa in fretta e furia, così com’era… nuda!!!
Alle persone che incontrava chiedeva: “Avete visto Altrettanto?”.
E loro, vedendo la vecchia nuda, rispondevano: “Altrettanto non abbiamo mai visto!”
Concludiamo questa breve rassegna con la più classica delle storie, quella di Felice.
Un de, un omen ch’l s’ciameva Felice al s’se mes a lavurer intorna a ca…
L’a rastrle la gera,l’a spase al foi, l’a muce la legna… e po’ l’a tache a vuder al pusot e…
tut in un mumeint al gh’è casche deinter.
Dispere l’a tache a sbraier: “gni chè… curì,curì…a sun caschè, a sun cascè…. gni chè… curì,curì…a sun caschè, a sun cascè….”.
Nisun a dgiva gnint, alora lo incora: “gni chè… curì,curì…a sun caschè, a sun cascè…. gni chè… curì,curì…a sun caschè, a sun cascè….”.
A un cert punt a gh’è ste di aginta che i’an sinti i so sbrai e iin cors la… mo i vdiven nisun.
Alora j’an sbraie: “gh’è quelchid’un?…c’sa gh’è?…”
Lo al gh’a sbraie: “ a sun che… a sun Felice…in dal pusot!!!”
In dal sintir acsè… lor j’an rispost: “ st’e felice… sta lè!!!”.
Un giorno un uomo di nome Felice si è messo a lavorare intorno a casa…
Ha rastrellato la ghiaia, ha scopato le foglie, ha messo in ordine la legna… e poi ha iniziato a vuotare il pozzo nero e… c’è caduto dentro.
Disperato ha cominciato ad urlare: “Venite… correte, correte… sono caduto… venite… correte, correte… sono caduto, sono caduto…”.
Nessuno diceva niente, allora lui ancora: “Venite… correte, correte… sono caduto… venite… correte, correte… sono caduto, sono caduto…”.
Ad un certo punto alcune persone hanno sentito le sue urla e sono accorse sul posto… ma non vedendo nessuno hanno urlato: “C’è qualcuno?… Cosa è successo?”
Lui ha urlato: “Sono qui… sono Felice… nel pozzo nero!!!”
Nel sentire così… loro gli hanno risposto: “Se sei felice… stai lì!!!”.
Questa storia, molto nota nella cultura popolare, viene narrata anche con una filastrocca.
Set, quatodes, vintun e vintot
questa l’è la fola ed Felice in dal pusot
che quand al s’è ade ch’l’era adre a cascher
cun tuta la vos l’a tache a sbraier
“A sun Felice in dal pusot, a sun me…”
e tut i ghe dgiven: “S’te felice, sta lè!!!”
Sette, quattordici, ventuno, ventotto
questa è la favola di Felice dentro al pozzotto (pozzo nero)
che quando si è accorto che stava per cadere
con tutta la voce ha iniziato ad urlare
“Sono Felice nel pozzo nero, sono io, (sono qui)…”
e tutti dicevano: “Se sei felice stai lì!!!”.