«Ciao Stringa!»: saluto così Andrea Libero Gherpelli, che trovo qui al mercato degli agricoltori del sabato all’Espansione Sud. Presenza costante la sua, al banchetto di “Natura Maestra”, il brand dei suoi eccellenti prodotti, lavorati coi grani antichi dell’azienda di famiglia Ca’ Vecchia a Prato. “Stringa” è il nomignolo del batterista della band, interpretato da Andrea nel film “Si muore solo da vivi” di Alberto Rizzi e girato sulle rive reggiane del Po. La sera prima ne ho gustato l’anteprima al Cinema Novecento di Cavriago. Un elogio dolce, raffinato, della genuinità e tenacia della gente della nostra terra. Proprio com’è Andrea, con le sue passioni a mezzadria tra il cinema e la vita nei campi. Tra i protagonisti del film c’è Neri Marcorè, nella parte di Ivan il chitarrista, forse il più lucido tra gli sbalestrati della band. «Andrea, che ne dici? Facciamo un’intervista su Primo Piano al tuo collega di set?».
Neri Marcorè era venuto a Correggio per condurre “Racconto Cosmico”, lo spettacolo scientifico sui misteri dell’Universo dell’Istituto di Fisica Nucleare, portato al Teatro Asioli da Primo Piano. Andrea mi parla di Neri come di una persona squisita, di grande umanità. Non posso che confermare.
E allora procediamo! Con cinque domande condivise tra noi due, tranne la sesta, a insaputa di Andrea.
Caro Neri, torniamo, in qualche modo, ai misteri dell’Universo. Se tu dovessi presentare nel teatro Asioli il racconto di questo frammento di materia oscura che si chiama Covid e che ci ha cambiato la vita, parleresti di una vendetta di madre natura contro la prepotenza dell’homo sapiens contemporaneo?
«Non credo che la natura contempli la vendetta nel suo evolversi, ma certo dispone di strumenti di autoprotezione laddove uno o più elementi che fanno parte del suo “organismo”
diventino dannosi. Nel saggio di Harari “Sapiens, da animali a dei” abbiamo la conferma che la specie umana è sempre stata distruttiva rispetto all’ambiente circostante, non certo per cattiveria ma per autoconservazione. Ma questa assoluzione può valere fino a un certo punto della storia, poiché oggi disponiamo di un grado di conoscenza che dovrebbe indurci a frenare questa nostra corsa. Eppure non ci riusciamo. Abbiamo la presunzione di poter rimediare sempre a tutto, di riuscire ad affrontare positivamente un problema dal momento in cui si verificherà e viviamo come cicale, o per usare un’altra metafora animale, come struzzi che mettono la testa sotto la sabbia. Questo virus vale comunque come ammonizione: ci siamo resi conto di essere fragili, che la ricerca e la tecnologia, per quanto avanzate, saranno sempre un passo indietro rispetto ai tempi della natura. Magari tra qualche mese disporremo di vaccini e farmaci efficaci, ma nulla ci garantisce che in futuro non arrivino altre sorprese che ci troveranno impreparati. Senza pensare a un nuovo virus è sufficiente guardare lo stato delle nostre falde acquifere, l’inquinamento dei mari, lo scioglimento dei ghiacci. Eppure la natura ci ha dimostrato che i suoi tempi di recupero sono rapidissimi; sono bastate poche settimane di congelamento dell’attività umana su questo pianeta e già la qualità dell’aria e dell’acqua era cresciuta. Questo dovrebbe suggerirci che non è troppo tardi per invertire la rotta con misure efficaci per la salvaguardia del pianeta»
Dopo la sbornia mediatica dell’uno che vale uno, credi che l’autorevolezza della scienza e il valore della competenza e dello studio siano adesso finalmente riconosciuti?
«La revisione filosofico-politica che ha preso piede negli ultimi anni credo possa fare molti danni, se pensiamo alle conseguenze sociali cui dà vita l’idea che la competenza e la preparazione siano privilegi da combattere e non piuttosto obiettivi da emulare e che l’emancipazione non debba passare attraverso l’impegno e lo studio, come se ognuno debba avere accesso a qualsiasi ambito per diritto divino. Ben diverso è il concetto di equità sociale e di pari opportunità per tutti. Io temo che questa tendenza non sia facilmente invertibile e che il concetto di semplificazione venga applicato in modo eccessivo e banale, per cui si tende alla ricerca della strada più breve e meno faticosa, alla deresponsabilizzazione. Per fortuna però esistono confortanti realtà che fanno eccezione e che fungono da contraltare».
Dal lockdown siamo usciti cambiati, secondo te? Il senso civico, la solidarietà hanno fatto breccia nei muri dell’ego e tra i sovranismi di pelle o di nazione?
«Durante il lockdown sentivamo ripetere “non saremo più come prima, tutto questo ci cambierà, ci servirà di lezione”. Confesso di averci sempre creduto poco. Per natura siamo capaci di resistere a condizioni di vita difficili, durante le quali magari ci accorgiamo di cosa voglia dire comunità, solidarietà, sostegno reciproco, ma poi, superato il momento critico, di riassumere rapidamente la forma precedente, se non tentare di riguadagnare il terreno perduto con una bramosia e frenesia sbalorditive. Però a qualcuno questo stallo è servito a riflettere, a comprendere che si può vivere anche senza correre e rincorrere, ad apprezzare la vita nei suoi aspetti positivi e gioiosi, ad accorgerci di quello che ci circonda e a valorizzare la bellezza degli ambienti in cui viviamo e delle persone che ci stanno vicine. In parecchi hanno capito che rallentare porta a una qualità della vita migliore».
Il fermo forzato del teatro, del cinema e delle attività artistiche in presenza, può ipotecare pesantemente il futuro della vita culturale del nostro Paese?
«È vero che i luoghi deputati allo spettacolo sono stati chiusi, con grave danno ai lavoratori di questo settore, e non mi riferisco certo agli artisti affermati ma ai cosiddetti intermittenti, ma è anche vero che abbiamo assistito a nuove forme di intrattenimento, a una vitalità artistica senza precedenti che si è riversata sul web e su qualsiasi contenitore praticabile. Questo però è avvenuto soprattutto per iniziative personali, non abbiamo sentito molta attenzione da parte delle istituzioni. La cultura è apparsa ancora una volta di più un settore voluttuario, quasi mai citata tra le priorità, invece a ben pensarci è stato proprio questo il tessuto connettivo che ha rinsaldato la tenuta sociale negli scorsi mesi. Scuola, ricerca e cultura sono la base del nostro futuro, se vogliamo essere ottimisti non si può prescindere dal considerarle vitali e investire in esse»
E la politica? Idealità, grandi valori sono smarriti? Anche nelle terre della Resistenza, qui dove avete girato, non ci siamo un po’ addormentati? Le Sardine ci salveranno?
«La politica fa fatica a dimostrare il suo pragmatismo, ricoperta com’è da slogan, proclami, populismo, apparenza, ma dare la colpa alla classe politica è fin troppo banale; siamo noi cittadini
a dover crescere e chiedere ai nostri dirigenti di migliorare nel loro compito e di ritrovare uno sguardo lungimirante, in cui l’idealismo non appaia come obsoleto e i progetti possano svilupparsi anche quando saranno altri a cavalcarne, bontà loro, i risultati. Sulle Sardine direi che hanno saputo interpretare un sentimento evidentemente condiviso dando corpo a un movimento degno di rispetto. Forse devono però ancora trovare un’identità definita che non segni semplicemente uno scarto con quello che non va o quel politico sgradito ma sappia esprimere idee e progetti, al di là del fatto che possano essere presi in considerazione da altri soggetti o messi in pratica direttamente, dopo un mandato elettorale».
E da ultimo, confessa: con l’ingegner Andrea Gherpelli, artista doc di territorio e agricoltore rispettoso delle tradizioni e della natura, come ti sei trovato? Hai potuto apprezzare questo grande e simpatico ragazzone di cui noi correggesi siamo orgogliosi?
«Fate benissimo a essere orgogliosi di Andrea! A parte il fatto che sul set ci siamo intesi da subito ed è stato piacevole lavorare insieme, ho scoperto che è un innovatore partendo proprio dalle tradizioni e che mette nel suo lavoro una passione e un entusiasmo ammirevoli, elementi fondamentali per crescere e farsi conoscere. Gli auguro tutto il meglio e mi auguro di incrociarlo presto in qualsiasi contesto sia, davanti a una macchina da presa o sopra una macchina agricola».
Grazie Neri, è stato un piacere sentirti.