Come stanno banche, finanza e cittadini?

Il dopo Brexit secondo Paola Vezzani, consigliere Unicredit

Incontriamo la nostra concittadina Paola Vezzani pochi giorni dopo il 24 giugno, venerdì nero della Borsa Italiana.
L’effetto Brexit ha mandato in fumo quel giorno 411 miliardi di euro, la peggior seduta di sempre per Piazza Affari.

Paola Vezzani è professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Modena e Reggio Emilia, e siede da un anno nel board (il CdA che è formato da diciassette persone) di Unicredit, il gruppo bancario di dimensioni europee con sede a Milano, nel maestoso direzionale di Piazza Gae Aulenti.

Approfittiamo, oltre che dell’amicizia, della grande preparazione e della totale disponibilità di Paola. Alle nostre domande, lei non si sottrae, dopo aver premesso che nelle risposte sui temi in oggetto anche i premi Nobel ogni tanto sbagliano…


Perché sono le banche italiane a risentire maggiormente dell’effetto Brexit? Vuol dire che non sono banche affidabili e solide per il mercato dei titoli?
«Le banche italiane, da sempre e anche quelle di maggiori dimensioni, presentano un ben preciso modello di business che invece non caratterizza le banche tedesche o anglosassoni.
Sono vere e proprie banche commerciali che servono le imprese, soprattutto le piccole e medie aziende che non si finanziamo sul mercato, e le famiglie.
Ovviamente questo modello di banca presenta in bilancio meno derivati e meno strumenti speculativi, rispetto ad altri modelli di banca, ma in momenti prolungati di crisi ne subisce maggiormente le conseguenze.
L’elevato livello di crediti deteriorati, quelli citati giornalmente su tutta la stampa economica come NPL (Non Performing Loans), origina in larga misura da questa peculiarità, anche se non sono mancati purtroppo casi di cattiva gestione bancaria.
Ricordo comunque che le banche dispongono di significative coperture per tali crediti problematici e che le attuali regole sul capitale sono molto stringenti, imponendo ad ogni istituto dei limiti minimi da rispettare».

E dopo il terremoto Brexit ritornerà la stabilità dei mercati finanziari?
«Con Brexit gli investitori sono stati sorpresi. I mercati avevano scommesso sul remain e si vedeva dagli andamenti dei giorni immediatamente precedenti al referendum.
Il leave era quindi uno scenario molto temuto dal mondo finanziario e purtroppo si è verificato.
Sui mercati oggi prevalgono nervosismo, altissima volatilità, incertezza, paura per cui gli operatori scappano verso beni rifugio e vendono quelli che percepiscono più volatili: non a caso l’oro è ad esempio cresciuto come non accadeva da anni.
Il mercato sta quindi cercando di discriminare, di differenziare i paesi ritenuti più fragili sia sul piano dell’economia reale che di altri parametri.
Purtroppo però il brevissimo termine è spesso troppo presente nelle azioni e decisioni degli operatori. Di recente una Direttiva Europea che modifica la Direttiva “Transparency”, abolisce l’obbligo per gli emittenti di pubblicare le informazioni trimestrali, lasciando alle autorità nazionali la facoltà di prevederlo.
In proposito diverse sono le correnti di pensiero: i manager comunque lamentano spesso la tendenza dei mercati finanziari ad effettuare valutazioni eccessivamente condizionate dai risultati di breve periodo, in opposizione all’orizzonte di lungo periodo tipico delle decisioni aziendali. In questo momento il futuro è quindi davvero oscurato da molte incognite».

Il fondo Atlante funzionerà per prevenire disastri come Banca Etruria? E la battaglia per introdurre una garanzia unica europea sui depositi potrà passare?
«Il fondo Atlante è un fondo d’investimento alternativo che serve a soddisfare due finalità: assicurare il successo degli aumenti di capitale richiesti dall’Autorità di Vigilanza per le banche che si trovano a fronteggiare difficoltà di mercato e risolvere il problema dei crediti in sofferenza.
Esso contribuirà ad evitare che si inneschi una spirale negativa tra la percezione che i prestiti in sofferenza debbano essere ceduti rapidamente, con ulteriori perdite per gli intermediari, la cessione dei corsi azionari e l’incertezza sull’esito dei prossimi aumenti di capitale.
Tutti gli investitori nel fondo sono operatori privati; ciò esclude il rischio che il suo intervento possa risultare in contrasto con la disciplina sugli aiuti di Stato.
Non so personalmente prevedere i tempi della garanzia unica sui depositi. So che il presidente della Bce, Mario Draghi, la sostiene e afferma: “Stabilire una rete comune di protezione per i depositanti a livello europeo è il complemento logico alla supervisione della Bce”. Forse dopo le elezioni in Germania!».

Come italiani siamo pronti a subire turbolenze finanziarie che possono compromettere i nostri risparmi?
«Io sento forte il tema dell’educazione finanziaria dei cittadini.
Oggi, da materia per addetti ai lavori, l’educazione finanziaria è diventata una competenza di base nell’ambito del concetto di “cittadinanza economica”, strettamente connesso ai temi della legalità, della corretta percezione del valore del denaro e della responsabilità sociale.
Essa comprende quell’insieme di conoscenze, capacità e competenze che permettono al cittadino di divenire agente consapevole nell’arco della propria vita economica e sociale, al pari dell’educazione civica.
Purtroppo in Italia ancora molte sono le lacune in termini di diffusione delle conoscenze economiche di base, come dimostrano i risultati di diverse rilevazioni e ricerche.

Il World Competitiveness Index colloca l’Italia al 44° posto per diffusione dell’educazione finanziaria e ultimo tra i Paesi del G8.
In Italia si impiega molto più tempo per scegliere la propria auto o addirittura una Tv piuttosto che come investire i propri risparmi.
Inoltre non è mai chiaro il nesso tra rischio e rendimento.
Questo non va bene e le principali autorità sono anni che si stanno impegnando al riguardo.
Vi cito un episodio personale.

Nel 2008, in agosto, mi sono recata in vacanza a Londra con la mia famiglia. I miei figli erano allora adolescenti. Recalcitranti li ho trascinati nel museo della Bank of England. Una volta entrati ho visto due scolaresche di bambini di età compresa tra i 4 e i 7 anni con le loro maestre che visitavano il museo. Non era affatto un museo noioso, anzi era pieno di video e giochi interattivi per fare capire ai piccoli non solo l’importanza del denaro, ma anche gli effetti dell’inflazione, dei tassi di interesse, del ruolo delle banche, e così via. E i bambini giocavano felici e imparavano. Impensabile da noi!».

Dall’alto della Torre Unicredit di Milano la vista spazia lontano e all’Università di Reggio e Modena con i giovani si sta in contatto quotidiano. Dopo la finanza, allora, parliamo dei cittadini europei.
Il senso di appartenenza alla casa comune europea vacilla, non credi?
«Per carattere tendo ad essere quasi sempre ottimista. Io credo fortemente nell’Europa. Ricordo bene il 3 maggio 1998, quando il Consiglio dell’Unione Europea verificò all’unanimità che 11 Stati membri soddisfacevano le condizioni necessarie per l’adozione della moneta unica: erano i primi “Paesi In” e noi eravamo tra quelli. Ecco la parola “IN” a me è sempre piaciuta.
Mi fa pensare bene.
Oggi non cambio carattere e convinzione ma certamente l’esito Brexit non è un buon segnale e mi dà un po’ più di preoccupazione.
Sentimenti secessionisti esistono già in giro e si vedono.
In momenti come questi di elevata volatilità le incertezze sono tante.
Un timore però sovrasta su tutto: che prevalgano sentimenti nei popoli europei che dissipino tutta la strada fatta finora, che vinca la voglia di smantellare tutto.
Uno scenario che respingo.
Occorre lavorare molto dialogando soprattutto con i giovani per fare comprendere che divisi non si va da nessuna parte e che non serve a nulla guardare solo dentro ai propri confini. Sono comunque fiduciosa nelle giovani generazioni che frequento giornalmente.
Molti di loro si sentono e comportano già da cittadini europei».

Grazie professoressa Vezzani, per il tempo che ci hai concesso e per la chiarezza delle risposte.

Tanti auguri di buon lavoro, a Milano e a Reggio, sia nel campo della finanza praticata che in quello, non meno prezioso, della finanza insegnata.

Giulio Fantuzzi  e Lorenzo Sicomori

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